Api e miele Valmarecchia:
L’ape regina di Rofelle, un tentativo di selezione dell’ape italiana in purezza.
Montluçon (Auvergne),  3 e 4  febbraio 2015

Gentile Presidente,
gentili Componenti del Consiglio Direttivo,
gentili Colleghi iscritti all’ANERCEA,

grazie per l’invito a relazionare al vostro congresso sul mio piccolo tentativo di selezione dell’ape italiana in purezza. Vi confesso che mi sento fortemente imbarazzato. Non potevo dire di no, per l’amicizia che mi lega sia alla vostra associazione che ad alcuni di voi. E nello stesso tempo non credo di essere un selezionatore, per lo meno nel senso che s’intende oggi. Sono un apicoltore che nella sua breve attività apistica si è trovato ad affrontare problemi nuovi, ed ha dovuto per forza di cose tentare una sua strada di selezione con l’ape italiana in purezza a fini quasi esclusivamente aziendali.

L’inizio

Io e Valeria abbiamo iniziato a fare apicoltura professionale nel 2002. Volevamo fare regine commerciali, e quindi abbiamo usato il tipo di ape italiana che ancora va per la maggiore: la bionda, comperando regine da quelli che allora erano considerati i migliori allevatori. Come voi sapete, quest’ape è stata selezionata in Italia da grandissimi selezionatori a partire dalla fine dell’Ottocento fino al 1980 circa, ed è molto funzionale ad un tipo di apicoltura da pianura padana o da nomadismo, per semplificare molto.

La necessità.

Ma noi non facevamo e non facciamo un’apicoltura da pianura padana o nomade. Noi facciamo un’apicoltura stanziale in Centro Italia, in un territorio con caratteristiche ambientali e climatiche radicalmente differenti.

Il problema immediatamente conseguente fu che le caratteristiche di quell’animale commerciale non andavano bene per la nostra apicoltura. E’ un’ape messa a punto per lavorare bene dove c’è un periodo produttivo abbastanza ristretto e con una forte importazione estiva di nettare, oppure inseguendo le fioriture su pascoli diversi. Negli apiari dove noi facciamo miele spesso il raccolto inizierebbe prima dell’acacia e spesso in alcune zone dura almeno fino a metà settembre.

E’ un raccolto lento, strisciante, ma con violente e improvvise interruzioni dovute alle cause più disparate. Eppure, con api sane e alveari ben condotti, a fine anno si può fare una media attorno ai trenta kg di miele. Dove non si raggiungono queste medie con il miele, si integra con la produzione di api, e alla fine la media del valore prodotto da un alveare si aggira comunque a più di trenta kg.

E’ fondamentale quindi che le famiglie siano sempre pronte ad andare a raccolto. E naturalmente è necessario gestire molte famiglie con costi il più possibile contenuti, per avere un utile interessante. Le famiglie, cioè, devono capire l’ambiente e le stagioni e fare il più possibile da sole. Al contrario, quel tipo di ligustica ha una fortissima capacità di deposizione, ma fa fatica a capire l’ambiente; e soffre moltissimo per le frequenti, improvvise e violente crisi d’importazione sia di nettare che di polline, per l’andamento stagionale sempre più bizzarro, per gli stress chimici sempre più frequenti, e per un tipo di apicoltura teso a produrre api oltre che miele, e quindi con frequenti prelievi di api e covata alle famiglie.

È animale fortemente produttivo se viene accudito con particolare cura, altrimenti mostra difetti oggi insuperabili; e i costi per accudirlo bene in condizioni difficili sono talmente alti che non sono giustificati dove c’è una produttività bassa ad alveare. Quindi la sostanza era che le regine che producevamo per il commercio non andavano bene per l’apicoltura aziendale; e dovevamo per forza di cose fare una scelta differente.

Dovevamo cambiare, e la scelta era obbligata.

La scelta era obbligata, e scontata: le necessità produttive dell’azienda erano assolutamente più importanti della produzione di regine per il commercio.

L’ape italiana.

Per chi non conosce l’ape italiana di prima della varroa, è difficile immaginare la sua incredibile varietà genetica e la grande varietà di ecotipi esistente allora dentro la stessa identità di razza; e la grande varietà di comportamenti e di varietà fisiognomica che potrebbero essere tuttora racchiusi dietro quell’immagine stereotipata con la quale viene ancora venduta in tutto il mondo come ape italiana: tutte bionde e tutte uguali. Ma noi sapevamo che la ligustica era anche altro; il problema era come ritrovarlo, se ancora esisteva, e come utilizzarlo per un’apicoltura da impresa.

Smettemmo di prendere regine dall’esterno, e iniziammo a scegliere le madri solamente sulla base della capacità di affrontare autonomamente le difficoltà stagionali e ambientali di qualsiasi tipo. In altre parole mettemmo la produzione di miele in assoluto decisamente in secondo piano rispetto alla salubrità e all’autonomia dell’ape dall’uomo durante tutto l’anno. Di quegli anni (2002/2003), abbiamo mantenuto due linee materne che ancora abbiamo: l’FA e l’FB. Particolarmente vitali e robuste, forse troppo esuberanti e ancora oggi difficili da modellare, ma ci sembrava che fosse possibile lavorarci, ed ancora ci stiamo lavorando. Per il resto abbiamo lasciato il nostro ceppo il più possibile libero di esprimersi.

Il 2003 fu un anno terribile. Ci fu una selezione naturale spietata: perdemmo almeno il 50% delle famiglie. Però alla fine della tragedia ci trovammo di fronte ad un panorama che non avremmo mai immaginato. Le più deboli, quelle “tutte bionde e tutte uguali” non avevano superato la prova, e le sopravvissute mostravano una grande varietà di comportamenti, ed anche una grande varietà fisiognomica e/o fenotipica. Ci trovammo di fronte alla possibilità di scegliere fra i differenti comportamenti che avevano superato la prova.

Finalmente il nostro ceppo iniziava a darci la possibilità di scegliere, cioè fare selezione.

Importanza del ceppo.

Noi fino ad allora avevamo lavorato in parte per linee materne in un insieme aperto, in parte per selezione massale ed anche comperando regine da altri allevatori; e avevamo dato pochissima importanza al nostro ceppo. Ci rendemmo conto che, per quello che noi cercavamo lavorando in purezza, ancora più importante delle linee è il ceppo, perché è la ricchezza di comportamenti del ceppo che offre le possibilità per scegliere le possibili linee più corrispondenti ai bisogni produttivi aziendali; e che le linee, per uno sguardo lungimirante, sono importanti non solo per il risultato della linea in sé: lavorando sulla linea io agisco anche sull’insieme del ceppo e così sulle possibilità di nuove linee, cioè di comportamenti nuovi, che io posso tentare di fissare. Iniziammo così a renderci conto che per noi il fine più importante della selezione è come il lavoro alle linee modifichi il ceppo; e questo è il cuore del nostro lavoro.

Longevità e varietà fisiognomica o fenotipica.

La scoperta decisiva è stata quando abbiamo trovato una famiglia strapiena di api, miele, con relativamente poca covata rispetto al numero delle api e con una grande varietà fisiognomica. Era il 2004. La famiglia in assoluto più produttiva a miele non corrispondeva assolutamente ai parametri scelti fino ad allora per la selezione: grande capacità di deposizione per avere tantissime api. Abbiamo capito che il grandissimo numero di api in questo caso dipendeva dalla loro longevità, che era legata al rapporto api / covata; ed era associata anche a un grande diversità fisiognomica delle api. E allora abbiamo scoperto quelli che sono diventati i due parametri fondamentali per i nostri criteri di selezione: longevità e varietà genetica per quello che noi possiamo leggere dal fenotipo.

Abbiamo seguito la famiglia per il resto dell’anno, e abbiamo potuto osservare che era la più robusta, la più salubre, la migliore ad invernarsi, a gestire le scorte durante l’inverno e ad uscire dall’inverno. Ci soffermiamo un attimo su questo perché è molto importante. Una delle caratteristiche perdute dell’ape italiana è che, se invernata con le corrette scorte di polline e dove l’ambiente lo permette, inizia a deporre una piccola rosa di covata in contemporanea con il fiorire del nocciolo, e continua così fino a marzo, quando si ritrova piena di api nuove e longeve. Queste sono le famiglie che escono meglio dall’inverno. Non esplodono improvvisamente di covata, come fa la “bionda”, ma ad aprile scoppiano di api; e non avendo bisogno di dedicarsi all’allevamento della covata da legno a legno, spesso potrebbero fare un melarietto in aprile, prima dell’acacia. È una caratteristica importantissima: se non faccio andare la famiglia a melario, uso comunque le api per sciami precoci e contengo la sciamatura, non faccio miele ma la resa economica rimane. Ci siamo soffermati in particolare su questo comportamento dell’ape italiana, perché è veramente poco conosciuto; ed è molto importante per un’apicoltura stanziale e da artigianato industriale, nella quale tutte le possibilità produttive dell’animale devono essere sfruttate.

Comunque nella sostanza avevamo trovato un esempio di cosa stavamo cercando. Questa famiglia è poi diventata la capostipite di una linea che ancora abbiamo, la 43, che vuol dire la terza linea sperimentata nel 2004 e mantenuta dopo la sperimentazione. Ne parleremo molto, perché mi serve come l’esempio migliore di cosa e di come stiamo ancora cercando.

Longevità e produttività della colonia.

Avevamo scoperto la longevità, che è strettamente correlata ad una maggiore salubrità. Molte api che allevano poca covata vuol dire api allevate bene in ogni stagione dell’anno, e più robustezza, vitalità, forza, resistenza, ecc.; e un potenziale di bottinatrici sempre più alto. E avevamo scoperto che se la longevità è associata ad alacrità, questa è la condizione ottimale per un’alta produttività dell’alveare.
La longevità è chiaramente l’aspettativa di vita di una singola ape; e la produttività di una famiglia è maggiore in maniera direttamente proporzionale alla maggiore durata di vita delle sue api. Cioè, per intenderci, se un alveare ha api che vivono 50 giorni invece che 40, la sua produttività è almeno del 20% superiore; e se io riesco, ad avere una maggiore abilità anche nelle capacità produttive, ad iniziare dall’alacrità, la sua produttività teoricamente è superiore fino al limite massimo a cui posso condurre l’animale.

Insomma il caso di natura ci aveva fatto trovare sul campo un materiale di riflessione che non avremmo mai osato sperare, e ci stava offrendo il modello di come continuare a cercare.

Longevità e varietà genetica = alta poliandria=l’ape non è un mammifero.

L’altra cosa fondamentale che avevamo scoperto era che questa famiglia aveva assolutamente api non omogenee, vale a dire che era estremamente ricca di varietà genetica. E quindi l’idea che la condizione prima per un’alta produttività fosse l’omogeneità fisiognomica delle api e che questo fosse anche un indice della purezza, non era corretta.

Ora noi sappiamo che l’alveare è un superorganismo composto da un insieme di sottofamiglie, ciascuna delle quali porta il suo contributo specifico alla vita complessiva dell’individuo famiglia. Possiamo immaginare ciascuna di queste come una specializzazione o un talento naturale in una certa attività. Esattamente come è per gli esseri umani: uno ha più talento a fare il taglia bosco, un altro l’ingegnere, ecc. E sappiamo anche che questa è una dote di natura, fissata da tutta la storia dell’evoluzione della sottospecie. Uno non se la dà da solo, se la trova addosso dalla nascita come propria attitudine particolare e se la porta dietro per tutta la vita. Però noi possiamo lavorare su un talento, e coltivandolo può diventare una capacità artistica.

Esattamente così è per le api: una sottofamiglia si ritiene che sia sempre portatrice di almeno un’attitudine particolare; e più è ampio l’insieme, più la famiglia è capace di affrontare ed adattarsi al numero più grande di necessità ambientali, e quindi non solo di sopravvivere ma di vivere nella migliore condizione di salubrità, di vitalità, di benessere, di alacrità e quindi di produttività. Un amico recentemente mi ha detto che questo meccanismo, guardato dal punto di vista della salubrità del super organismo, si chiama immunità sociale, e penso che questa parola renda esattamente il senso di cosa intendo. Più alto è il numero di attitudini particolari e più alta è la cooperazione, più la famiglia è salubre di fronte alla più ampia gamma di situazioni ambientali; e di conseguenza tanto più io riesco a migliorare il singolo talento, tanto più migliorerà il risultato complessivo. Quindi devo trovare la strada per avere nella stessa famiglia il massimo di sottofamiglie e tutte con attitudini ben coltivate. E sappiamo che la strada è un’alta poliandria, che è in contraddizione con una selezione spinta su pochi caratteri.

Fecondazione in poliandria controllata = conservazione e miglioramento della variabilità genetica in movimento.

Sappiamo anche che la variabilità genetica di una famiglia è il risultato di due fattori: quella trasmessa dalla madre e quella trasmessa dai padri; e quindi un’alta varietà genetica è il risultato del lavoro sia sulla linea materna che sulla molteplicità delle linee paterne. Sappiamo anche che mentre è relativamente semplice lavorare sulla trasmissione dei caratteri per linea materna, più complicato è per linee paterne.

Scusate se mi dilungo su cose ovvie; ma mi serve per arrivare al punto che segue: la necessità della fecondazione naturale in poliandria controllata.

In questo sistema per avere un’alta variabilità genetica devo avere molte linee che producano fuchi. E questi devono trasmettere, assieme ad un’alta variabilità genetica, anche i caratteri che mi interessano mentre ne inibisco altri. Quindi ciascuna linea produttrice di fuchi deve essere selezionata; e quindi devo avere una molteplicità di linee tutte selezionate per uno o più caratteri particolari che mi interessano per produrre fuchi, ed una stazione isolata per l’accoppiamento in una situazione di fecondazione naturale in poliandria controllata. Inoltre così il miglioramento di ciascuna linea contribuisce al miglioramento di tutte le altre; e ciascuna linea contribuisce così al miglioramento del ceppo.

Devo creare una situazione artificiale di fecondazione naturale il più possibile vicina a quello che succede in natura, nella quale possa fare una pressione selettiva programmata mentre conservo la riproduzione del livello più alto possibile di varietà genetica. Questo è praticamente in contraddizione con il principio stesso della selezione, che è ridurre la riproduzione del comportamento dell’animale al solo o pochi che mi interessano; ma l’esperienza ci aveva fatto vedere che per me non c’era altra strada se non ampia variabilità genetica.

Un anno fa ci hanno detto che questo modo di fare selezione ha un nome preciso: conservazione della variabilità genetica in movimento. L’espressione mi piace molto e la condivido.

Comunque da quel momento in poi abbiamo iniziato a lavorare su tre livelli di fecondazione: uno in poliandria non controllata con celle selezionate negli apiari a miele, un secondo nella stazione di fecondazione nella parte bassa della valle, in poliandria poco controllata; ed uno in una situazione di poliandria quasi totalmente controllata, nella nostra stazione isolata in montagna.

Il nostro ceppo è così diventato l’insieme di questi tre momenti, ciascuno dei quali ha la sua importanza particolare.

Selezione per linee, fissare i caratteri e trasmetterli. Rapporto uomo ape nella selezione.

Voi mi scuserete ancora se mi soffermo su cose ovvie, ma mi serve per arrivare a un altro punto per noi fondamentale: la selezione come risultato congiunto della pressione uomo-ambiente.

Lavorando in purezza, una linea nasce scegliendo una regina come madre, dopo aver osservato le caratteristiche comportamentali della famiglia. Il più delle volte il colpo d’occhio non sbaglia. E’ un atteggiamento molto simile a quello di chi cerca talenti nelle squadre di calcio parrocchiali; e quasi mai si sbaglia: se una famiglia manifesta un comportamento interessante, sarà da verificare poi a che livello potrà arrivare, ma è certo che darà risultati buoni. E quasi sempre quelle che si presentano come ottime, saranno ottime. Tuttavia questo non significa che siano capaci di trasmettere il carattere o l’insieme di caratteri per i quali sono per noi interessanti, nonché la loro armonia.

Quindi ciò che è importante non è tanto il comportamento della famiglia in sé, ma verificare se le regine figlie siano a loro volta in grado di trasmettere le caratteristiche comportamentali per cui m’interessava la madre. Sappiamo che la famiglia di ciascuna regina figlia è il risultato della sua fecondazione con più padri, e che quindi questa trasmissione non è così semplice, tuttavia per ora ci fermiamo alla trasmissione matrilineare. Con l’FA e l’FB avevamo già due linee che trasmettevano i caratteri che ci interessavano, anche se ancora non maniera ottimale e dopo più di 10 anni ancora ci stiamo lavorando. Ora se ne era aggiunta una terza: la 43. Da allora abbiano iniziato a sperimentare altre linee con questa nuova consapevolezza.

È da notare che il ceppo mi offre le possibilità fra cui scegliere le linee, ma io devo avere la vista per leggere i comportamenti e le loro composizioni, perché se non li vedo è come se non esistessero. E questa vista non ce la diamo da soli: se natura ce l’ha data l’abbiamo, altrimenti no. È un talento naturale: prima deve esistere e dopo forse posso lavorarci con l’esperienza e la riflessione; e comunque l’esperienza del lavoro sul campo la modifica continuamente, spesso senza che io me ne accorga.

Voglio dire cioè che, ammesso e non concesso che abbia questo talento, io sono sicurissimo che prima del 2002 non sarei stato in grado di vedere quello che ho iniziato a vedere dopo; e la vista mi cambia continuamente passo dopo passo: l’esperienza e la riflessione affinano il talento fino al limite che tutti abbiamo. C’è un rapporto molto stretto fra come noi modifichiamo il comportamento dell’ape e nello stesso tempo come si modifica il nostro. Forse si potrebbe addirittura parlare di una selezione reciproca!

Ma per tornare alle api e ricapitolando: devo saper vedere i comportamenti che m’interessano, devo saperli leggere, devo saperli scegliere e poi verificare se sono fissabili. Se la trasmissione non avviene, i risultati del mio lavoro sono nulli; e tanto più riesco a fissare in una linea i caratteri per cui m’interessa, tanto più il mio lavoro è efficace. Tuttavia una linea mai è stabile. La fissazione dei caratteri per cui m‘interessa deve essere continuamente rinnovata di generazione in generazione; e i risultati del mio lavoro io posso saperli solo a posteriori.

Nella mia esperienza sono molto poche le regine che hanno questa capacità naturale di fondare una linea. Ad es. dal 2004 al 2008 siamo riusciti a identificare solo altre due linee, oltre la 43: la 51 (la prima sperimentata nel 2005) e la 81 (la prima sperimentata nel 2008). Oggi lavoriamo con nove linee; ma al fine di esemplificare, usiamo solo queste di cui abbiamo parlato, e in particolare la 43 e la 51, che usiamo come estremi, o opposti, per correggere le altre.

Selezione per linee, pressione congiunta dell’uomo e dell’ambiente.

Prima ancora di continuare su questo filo, però vorrei dire che questo lavoro di fare emergere dal ceppo linee nuove solo in parte è il risultato del miglioramento che io cerco di fare.

In realtà noi tentiamo di creare le condizioni affinché possa accadere; ma nei fatti è l’ape che “sceglie”, e noi non sappiamo come, fra le sue possibilità comportamentali valorizzandone alcune ed inibendone altre per adattarsi.

L’uomo preme e l’ambiente anche. Quindi ci si trovava di fronte ad una pressione congiunta uomo-ambiente. L’ape da una parte tenta di trovare le soluzioni comportamentali più efficaci per affrontare il rapidissimo mutare delle condizioni ambientali e dall’altra è sottoposta alla pressione dell’uomo che vorrebbe che queste modificazioni comportamentali avessero anche il massimo di efficacia per la soluzione dei suoi problemi produttivi. Da questo punto di vista l’uomo è una forza della natura che preme sulle api al pari delle mutazioni climatiche. Non credo che possa essere progettato a priori un equilibrio in questo meccanismo; così come credo che sia un caso se riusciamo a fissare le soluzioni comportamentali che ci servono. Ci riusciamo perché sono fissabili, non perché lo vogliamo.

Ci sembra di poter dire che l’animale non inventa nuovi comportamenti ma, dietro la pressione uomo-ambiente, ha la capacità di lavorare da solo sulle sue possibilità: fa emergere in primo piano attitudini che rimanevano sullo sfondo oppure erano appena accennate o appena percepibili, e fa sfumare sullo sfondo altre che potevano sembrare le uniche non modificabili. La stessa identità di razza può dar luogo a comportamenti lontanissimi fra di loro, come la 43 e la 51. E nella nostra esperienza questo avviene anche in un tempo veramente breve.

Comunque non siamo genetisti, e qui ci fermiamo; anche se ci sentiamo di poter dire che più si è consapevoli e meglio è.

Selezione per linee: migliorare i caratteri attraverso la composizione

Abbiamo visto fino ad ora la necessità che i caratteri desiderati in una linea siano migliorabili e trasmettibili con il massimo di fissazione e con un taglio minimo di variabilità genetica.

Ciascuna linea però presenta anche caratteri indesiderati, o comunque non ottimali, che vorremmo migliorare o inibire. Ad es. la 43 va riselezionata continuamente forzando la sua capacità di deposizione, per trovare quel punto ottimale nel rapporto fra deposizione, popolazione e longevità in modo tale che la capacità di raccolto sia ottimizzata al massimo. Con la 51 avevo trovato il caso opposto: forse la più produttiva di miele in assoluto e sempre all’interno della salubrità, ma fortemente sbilanciata verso una grande capacità di deposizione.

L’altro grande passo in avanti è stato quando ci siamo accorti che i caratteri di una singola linea si potevano migliorare componendoli con i caratteri di altre linee, oltre che con la selezione sulla linea. Ci piace pensare, per lo meno così è visivamente, che questo miglioramento attraverso la composizione comporti un taglio minimo di variabilità genetica. Anzi, nel caso della 51 sembra che ne guadagni. E questo ci ha spinto a “chiudere”, e da tre anni usiamo solo madri fecondate in poliandria controllata. Penso che riapriremo presto, introducendo linee nuove da regine fecondate in apiari a miele e nate da celle selezionate. Meglio ancora sarebbe se riuscissimo a trovare selezionatori in purezza con i quali scambiarci materiale genetico già fissato; e abbiamo tentato di mettere assieme un gruppo, ma non ci siamo riusciti.

Stazione isolata per fecondazione in poliandria controllata

Come avrete già capito la fecondazione in poliandria controllata è eseguita in modo che tutte o molte linee producano anche maschi per fecondare le altre linee in stazione isolata. In questo modo la riproduzione della variabilità genetica è anche trasmissione di comportamenti già selezionati, per quanto è possibile; e per quanto sappiamo che in selezione noi possiamo tentare di seguire un filo, ma solo il caso di natura ci può permettere di trovare quello che cerchiamo.

Ci siamo accorti che eliminando una o più linee dalla produzione di maschi, o variando la percentuale delle stesse nella composizione, si poteva agire in maniera calibrata nel miglioramento di alcuni comportamenti. Ad es, come abbiamo visto, riducendo fortemente o eliminando la percentuale di maschi della 43 e sottoponendola ad una forte fecondazione da parte di maschi della 51, o comunque di linee con tendenza più spiccata alla deposizione, la 43 conservava le sua caratteristiche, ma si allargava di più nella deposizione, fino ad arrivare al suo punto veramente ottimale. E l’anno che l’abbiamo trovato è stata la linea con una produttività a miele, oltre che di salubrità complessiva, veramente eccezionale. Peccato che il risultato in selezione non sia mai ottenuto una volta per tutte e vada continuamente ricreato. E la stessa cosa è successa con la 51.

Questo è solo per darvi un esempio di cos’è per noi lavorare in poliandria controllata.

Le nostre linee preferite: la 43, la 51 ed ora la 02 .
Il caso particolare della FA e della FB.

Poche linee hanno una personalità così spiccata come la 43 e la 51. Forse la 02 (la seconda delle linee sperimentate nel 2010) è già ben definita nonostante abbia solo 4 anni. Veramente particolare, mostra caratteri fisiognomici e un’armonia complessiva che non avremmo mai pensato di vedere. La madre in seconda generazione viene da un cassone, quindi dal massimo di stress, ed ha dato risultati più che eccellenti da tutti i punti di vista. Si è auto sostituita nel 2012 e la figlia ci è piaciuta immediatamente così tanto che l’abbiamo utilizzata subito come madre e l’abbiano usata per due anni. A sua volta si è auto sostituita nel luglio 2014, e anche sua figlia ci è piaciuta talmente tanto che l’abbiano utilizzata subito come madre, e sembra che stia dando risultati altrettanto soddisfacenti.

C’è qualcosa che ancora non abbiamo capito in questa linea. Ad es. è molto docile ma al tempo stesso è forse molto robusta, resistente. E’ longeva, ma non sembra tendere a stringersi nella covata. Ci sembra un qualcosa di nuovo per noi, che dobbiamo ancora capire; sempre che la linea non si perda, perché succede anche questo. Sembrerebbe quasi che la pressione uomo ambiente della quale parlavamo prima, mentre inibisce alcuni comportamenti e caratteristiche fisiognomiche, ne faccia emergere altri che non avremmo mai immaginato; e la 02 per noi è un esempio perfetto di questo.

Altre linee invece sono più mediane nel comportamento e le usiamo soprattutto per assicurarci di tagliare il meno possibile la variabilità genetica generazione dopo generazione.

Un discorso particolare meritano l’FA e l’FB, linee che hanno almeno 11 anni, ma che non abbiamo ancora trovato come a noi piacerebbe. Negli ultimi due anni non le abbiamo usate per produrre maschi, ed anche prima le abbiano usate in piccole percentuali. Sono le nostre linee più forti e vigorose, e con un comportamento difensivo abbastanza spiccato. Continuiamo a lavorarci perché consideriamo un materiale genetico prezioso il loro vigore, forza e robustezza particolari, ma non riusciamo a comporlo con … la 43: non riusciamo a fargli tenere il favo come a noi piacerebbe, a continuare a lavorare indisturbate mentre le osserviamo, a non agitarsi quando le apriamo, ecc., e tendono a consumare un pochino troppo; ma non disperiamo che a forza di seguire il filo, il caso ci possa aiutare a farle diventare armoniche come ci piacerebbe.

Questo ci serve anche per dire che ogni linea è un discorso a parte in tutto. Un po’ come le famiglie umane. D’altra parte la genetica è genetica; e da questo non si sfugge.

La stazione isolata per fecondazione linea con linea e miglioramento del ceppo

Per mettere a punto meglio questo lavoro di composizione dei caratteri delle singole linee, a partire dall’estate scorsa abbiamo iniziato ad usare un’altra stazione isolata. E’ questo un altro livello del funzionamento complessivo del nostro ceppo, per ora l’ultimo: una sola linea fecondata da una sola altra linea. Abbiamo usato come prima madre maschi naturalmente la 43 e varie come madri delle vergini, per un totale di 115 regine prodotte. Per ora all’invernamento dei nuclei i risultati sembrano soddisfacenti, ma a primavera vedremo meglio. Nel nostro lavoro è solo l’esperienza che deve parlare, sulla base di quello che ci sembra di leggere.

Comunque al momento lo consideriamo solo un altro esperimento per mettere a punto meglio i caratteri che ci interessano; e poi, se ci riusciamo, innestarli nel resto del ceppo. Ci auguriamo di poter avere presto altre sorprese; ma, come vi ho già detto, le sorprese vere sono rare: tre in 11 anni; e ritengo di essere stato molto fortunato.

Mi dispiace di dovermi fermare qui, e di non avere una conclusione. In generale penso di poter dire che questi 13 anni di tentativi di capire qualcosa della selezione in purezza sono serviti solo come lavoro preparatorio. O forse nella selezione una conclusione non può esistere. Ogni passo fatto, probabilmente, è solo il punto di partenza per tentarne un altro; e probabilmente non c’è altro orizzonte che non sia il punto di partenza: questa pressione genetica congiunta uomo e ambiente sulla capacità di adattamento dell’ape; da qui siamo partiti, per tentare di ottenere un animale più salubre e al tempo stesso più produttivo, e qui ancora siamo.

Forse il risultato è solo la strada, e la fortuna di poter camminarci ancora un pochino.

Comunque l’unica conclusione che penso di potermi permettere è che solo ora, dopo 13 anni, forse inizio ad avere un ceppo con materiale genetico che inizio a ritenere abbastanza soddisfacente.

 

Vi ringrazio ancora dell’invito e per la vostra pazienza; e, sperando di poter esservi utile, sono a vostra completa disposizione, oggi e nel futuro, per quello che posso. A partire da un punto: le associazioni finiscono ma l’amicizia rimane. Spero che questa sconclusionata ed improvvisata relazione sia servita a rafforzare l’amicizia che mi lega ad alcuni di voi.