Valtiberina poetica e dintorni

(dedicato ad Alessia, Luisa, Palmiro e Sergio)

Sono troppe le persone che dovrei ringraziare per aver reso possibile la piccola rassegna di poesia che segue; due per tutte:
Chiara Cestelli, per averci, con entusiasmo e passione, fin dall’inizio creduto; e Donatella Zanchi, per il grande aiuto che mi ha dato. E devo subito avvertire che non ritengo il risultato completo o definitivo; credo ci sia ancora molto da scoprire.

Questo giocoso lavoro per me così pieno di incredibili sorprese e di grandi soddisfazioni, che da sempre sospettavo poterci essere senza averci mai voluto veramente credere, in generale è dedicato al poeta maestro del gelato Palmiro Bruschi, e ai poeti maestri della ristorazione Sergio Capetti, Luisa Tricca e Alessia Uccellini, come il discreto omaggio appartato di Api e miele Valmarecchia al loro grande lavoro sulle tradizioni e il territorio.

Nella cosiddetta, “amministrativamente” parlando, Valtiberina toscana siamo così diversi, così frontiera e crogiuolo di etnie e culture dissimili e non sempre amiche fra loro, e così difficili da leggere nella nostra così particolare realtà umana, che pochi riescono a vedere la nostra terra in tutta la sua variegata bellezza paesaggistica e antropologica, e meno ancora ad amarla in tutti i sui splendori passati, presenti e (questo sta a noi costruirlo) futuri. Da Monterchi a Sestino. Il divertimento poetico che qui presentiamo vuole solo essere questo: un invito a guardare la nostra terra da la cima dell’Alpe della luna, e ruotare lo sguardo a 360 gradi; si scoprirà che, almeno in poesia, in ogni sua parte non è seconda a nessuno.

Due accenni non “poetici” per orientare un pochino poeticamente il lettore, se un lettore dovesse per caso capitare in questo angolino così periferico della comunicazione. Il tocco di mano picena sull’appena accennato campanile di quella capannina celtica che è la chiesetta del cimitero di Rofelle mi ha sempre fatto impazzire; ed oggi mi sembra quasi di poter dire che potrebbe esserci qualcosa di longobardo nella stranezza dell’architettura di Anghiari. Vero? Falso? Qui non siamo archeologi; e neppure storici; (e meno di tutto politici). La maniera di conoscere poeticamente le cose procede solo per intuizione ed analogia, e nel suo procedere ubbidisce solo al ritmo e all’armonia. Per questo spesso è chiamata ebbrezza o follia, questa razionalità così poco razionalizzabile; eppure a noi che allo specchio piacerebbe vederci un pochino, almeno per un attimo, poeti, anche se piccoli piccoli, e poetuccoli di campagna già sarebbe molto, e come una briciolina di pane sarebbe già grandi … eppure a noi si fa per fare (e non per dire) poeti, dicevo, questo sapere non razionalizzabile e non traducibile …., a noi un po’ folli giullari da strada questo fare con ebbrezza del vivere piace come ciò che più al mondo vogliamo. Ci piace al punto tale che desideriamo, più di qualsiasi altra cosa, le sue gioie e le sue pene, e le chiamiamo “amore”; e senza amore ci sembra nulla la vita.

Non ho alcuna autorità per farlo, (tutto meno che un critico)  ma mi sento di poter dire che in  ognuno degli autori qui raccolti ci sono pepite che brillano al punto da illuminare a pieno giorno la notte, dall’estremo di “più nulla mi allieta e piaga il cuore” (Francesco) a quello di “quel ch’è sicuro è che ‘gna becci el vino!!!” (La Beppa). Sono grato ad ognuno di loro per la grande e gioiosa sorpresa che ciascuno mi ha dato. Chiedo a loro scusa se ho divulgato il segreto: ho peccato, un pochino; ma “la sua anima è l’essenza del peccato” (Tommaso, compagno di collegio ai tempi del liceo; e chi l’avrebbe mai detto…, un poeta…, e che squisitezza di poeta). A questa capannuccia di frasche nel bosco, dove per un attimo ci siamo incontrati, piacerebbe continuare ad esistere con la porta aperta per tutti quelli che potranno e vorranno portarci almeno un chicco di grano. Chi ha scritto le quattro sgrammaticate righe che precedono, sperando di non aver offeso nessuno, auspica per ognuno capponi, prosciutti, lepri e pernici, il tutto cucinato da Alessia, Luisa e Sergio ed annaffiato da un gran barilotto di vino. Come bicchiere della staffa, dopo sua maestà sovrana poetica assoluta il gelato di Palmiro, noi offriamo, fino a che ci sarà, la nostra (ci piacerebbe intrigante) acquavite di miele “Regina”.

Per l’oggi; domani … sempre pronti, se la Signora Delle Foreste ci chiama, a rismontare la tenda per rimettere di nuovo in cammino il nostro passato verso un ancora sconosciuto destino. Alla propria natura, in questo caso indigena e nomade, (quasi celtica oserei dire), non si può non sottostare e alla sua voce liberamente ubbidire. Sempre oltre passando e a tutti bene augurando, G.M..

Valtiberina poetica e dintorni