articoli e traduzioni di apicoltura

Perché produrre pappa reale e come semplificare il processo produttivo (parte prima)

di Gabriele Milli
Uscito in Lapis

Perché produrre pappa reale?

La pappa reale, salvo rare eccezioni o brevi periodi, è sempre stata la produzione dell’alveare meno attivata e sfruttata commercialmente dalle aziende. Non a caso: infatti la sua produzione è complicata tecnicamente, ed una volta acquisita la professionalità necessaria, il passo successivo certamente difficile ma più naturale è la produzione di api regine, perché più conveniente; ed anche per un allevatore che volesse integrare o diversificare le fonti del proprio reddito, è di gran lunga più remunerativo produrre e commercializzare miele piuttosto che pappa. Inoltre la rivendita di pappa reale cinese come italiana ha contribuito a far scivolare il prezzo al consumo di gran lunga al di sotto del suo costo e del suo valore reale e, di conseguenza, a scoraggiare le aziende che per vocazione o per particolarità ambientali e di mercato si sarebbero orientate verso la sua produzione. E così, mentre gli importatori, e gli apicoltori-rivenditori guadagnano bene con ricarichi notevoli su un prodotto estero, insicuro e di bassa qualità, i produttori italiani, scoraggiati, abbandonano e diversificano su altro. Niente da dire, il mercato ha sempre ragione; ed anche se dietro ci sono meccanismi facili da leggere, difficile è correggerli, soprattutto in una situazione nella quale il settore è debole economicamente, diviso politicamente e i produttori sono quasi sempre anche venditori, spesso più selvaggi ed irresponsabili degli stessi commercianti.

Il panorama è ancora sostanzialmente immutato, ma qualcosa sta cambiando. Innanzitutto la crisi produttiva degli ultimi due-tre anni e il recente calo del prezzo del miele all’ingrosso, ha spinto a cercare integrazioni e diversificazioni produttive, e la pappa reale si presta molto bene per questa operazione, soprattutto per le realtà che lavorano con mano d’opera familiare e per le quantità che ciascuna azienda riesce a collocare direttamente sul proprio mercato, in particolare al dettaglio. Inoltre il recente blocco delle importazioni di pappa cinese ha fatto riscoprire ed apprezzare la maggiore qualità del prodotto italiano, contribuendo, assieme ad altri fattori, ad una diversificazione della domanda con relativa differenza di prezzo che comincia ad essere interessante per chi cerca di collocarsi sui mercati della qualità e della certificazione (che non sempre coincidono). Alcuni apicoltori hanno scoperto che ci può essere un guadagno maggiore a produrre anche invece che solo commercializzare, oppure a commercializzare il prodotto di altri colleghi italiani purché di qualità, perché la qualità crea un’immagine con ritorni che si incrementano rimbalzandosi da un prodotto all’altro. Infine questo processo di mercato è avvenuto in contemporanea ad un fenomeno sociale che sta diversificando fortemente i consumi, schiacciando gran parte dei prodotti verso prezzi molto poco remunerativi per il produttore, e facendo schizzare verso prezzi molto alti pochi prodotti di qualità molto elevata ed offerti su mercati molto ristretti. La pappa reale italiana si rivolge di per sé ad un mercato molto di nicchia e si presta molto bene a completare l’offerta di un’azienda specializzata in prodotti tipici; anzi è indispensabile per un’immagine di professionalità e qualità legata al territorio e certificata.

Questa è la sua forza e questo è il suo limite. Fra i consumatori che hanno la possibilità economica di comperare prodotti cari, alcuni stanno riscoprendo l’alimentazione genuina, nel senso di “manipolata” il meno possibile e controllata attraverso la tracciabilità, come il migliore integratore esistente. Un po’ è una moda e uno status simbol, ma nel mucchio qualcuno se ne intende veramente. E’ un consumatore che soppesa e valuta, non si lascia ingannare dal “caro quindi buono”, non si fida del fumo, sospetta la truffa, prova, confronta, e si fida solo del proprio gusto e della propria esperienza. Stiamo parlando di un consumatore non necessariamente ricco, ma di una cerchia molto ristretta che non consuma un prodotto caro perché vuole apparire ma perché è in grado di riconoscerne la qualità e mette l’alimentazione prima di altri consumi come macchina, vestiario, ecc. . La pappa reale funziona molto bene come un ottimo ricostituente ad un costo tutto sommato più basso dei prodotti dell’industria farmaceutica ed in molti casi con un’efficacia forse molto maggiore; e il consumatore che è in grado di trovare una differenza di gusto e di effetto nella pappa italiana, diventa un cliente fedele: quello che tutti vorremmo, ed è l’interlocutore ideale per un prodotto tutto sommato ancora di nicchia come quello italiano.

Non ultimo nel panorama che sta cambiando sono alcune recenti acquisizioni nel processo di produzione della pappa reale. Sembra che la conoscenza delle ultime esperienze cinesi, passando per diverse strade e canali di comunicazione, abbia contribuito ad elevare la capacità produttiva anche in Italia; e la maggiore produttività, assieme alla diversificazione della domanda e dei prezzi, ha condotto ad una maggiore remuneratività del lavoro rispetto agli anni precedenti e quindi ad un maggiore interesse delle aziende. Quando 8/10 Kg. di pappa sono una quantità facile da produrre con un costo di produzione molto basso, dopo che è già fatto il raccolto di primavera a miele e con un investimento aggiuntivo che è solo nella professionalità dell’apicoltore, e quando il prezzo di vendita si aggira fra i 10 e 13 € all’abitazione per confezione da 10 g. e dai 600 fino agli 850 € per Kg se venduta all’ingrosso, è chiaro che la produzione di pappa diventa un’interessante integrazione. 8.000/9000 € nel bilancio di un’azienda apistica a conduzione familiare quasi tutti puliti sono qualcosa, e comunque equivalgono a più di 30 quintali di millefiori andante al prezzo attuale e a circa 1000 regine. Inoltre è un raccolto aggiuntivo a quello del miele e molto più sicuro, perché meno soggetto agli andamenti stagionali, con un costo di produzione estremamente limitato perché ridotto ad un po’ di nutrizione. E’ chiaro il perché del crescente interesse di aziende medio-piccole per la produzione di pappa reale; anzi, se si rivolgono ai mercati di qualità, non possono non avere pappa italiana nella propria offerta: per l’immagine aziendale, sta diventando indispensabile come l’acacia.

Ultima per ordine di esposizione ma non certo per importanza, anzi forse in un certo ambiente apistico prima causa della riscoperta della pappa, è l’esperienza della Cooperativa promossa da Bruno Pasini e da Maria Teresa Falda; ma di questa si è già detto e scritto abbastanza: è già nota e dilungarcisi ancora per sottolinearne il ruolo passato, presente e forse futuro, sarebbe un inutile ripetersi.

Le tecnologie di produzione della pappa reale: l’esperienza cinese

Se si dovesse prestare fede al gran rumoreggiare che si sente oggi nel mondo apistico riguardo alla produzione della pappa reale, si potrebbe concludere che il mondo pappa inizi in Cina circa quindici anni fa dal grado zero; e che dalla Cina si sia poi divulgato al resto del mondo, Italia compresa, con meccanismi quasi da propagazione di fede religiosa. I Cinesi sono stati bravissimi a introdurre alcune modificazioni decisive e a vendere, assieme al loro prodotto a bassissimo costo (e qualità) anche un’immagine di fondatori del modo. In realtà, da quello che si riesce a capire, ci sono state una concomitanza di cause, fra le quali uno straordinario personaggio, un professore universitario che è contemporaneamente un grande biologo, un grande apicoltore, un grande imprenditore, un grande divulgatore e non ultimo un grande commerciale (ha venduto la sua esperienza a tutto il mondo, come se fosse il punto di partenza e non di arrivo di una storia iniziata molto prima). La bravura consiste nell’aver innestato le ultime acquisizioni mondiali in fatto produzione di pappa e di selezione genetica su un ambiente già predisposto a recepirlo per cause politiche e di impostazione produttiva preesistente (il lavoro collettivo dovrebbe essere una caratteristica della socialità comunista e la produzione di pappa reale utilizzando l’ape italiana era già un dato di fatto diffuso su tutta la Cina); poi, grazie anche alla disponibilità di grandi risorse umane e finanziarie, ha intrecciato allevamento e ricerca cosi strettamente da produrre nell’uno e nell’altra un gioco di andata e ritorno con effetti di sviluppo reciproco in progressione geometrica. Sembra di capire che, negli apiari sperimentali, in poco tempo abbiano ottenuto una produttività media con punte di 350 g. a cassone ogni traslarvo, circa 23/24 g. a stecca e circa 0,80 g. per innesto. Dico sembra di capire perché i dati che io ho non sono così chiari come dovrebbero e spesso vanno interpretati e bisogna farsi strada attraverso un po’ di fumo. Credo comunque che l‘attenzione vada focalizzata soprattutto sul dato ad innesto, e poi cercheremo di spiegare il perché: è il doppio delle punte massime raggiunte in Europa con l’arnia vivaio e il cassone all’italiana. Il dato a cassone invece è il triplo, ma lo ritengo per noi meno importante.

E’ da sottolineare che sono risultati di apiari sperimentali, ed è molto probabile che vadano diminuiti di una bella fetta, come sempre succede, nella pratica quotidiana delle aziende, ma i nostri produttori neppure lo sognano di arrivare a tanto; la battuta che si sente nell’ambiente è: mungono le api come fossero mucche. Personalmente non conosco l’esperienza cinese se non per il poco che ho letto sull’ABJ: comunque si valuti questa testata statunitense, è di certo l’osservatorio più importante per capire quello che sta succedendo in apicoltura, e non a caso gli ha dedicato tre lunghi articoli in poco più di un anno. La sostanza sembra che ad una pressione sulla selezione genetica così intensa come mai era avvenuta in apicoltura, si sia aggiunta, per sperimentazioni successive, una modifica tecnica nel modo di concepire il cassone semplicissima e geniale. Ma di selezione genetica e cassone parleremo più avanti; per ora rimaniamo al fenomeno. La conoscenza dell’esperienza cinese sembra che sia avvenuta in un primo tempo grazie ad alcuni viaggiatori-apicoltori statunitensi e francesi. Sono subito andati a vedere per capire cosa stava succedendo per poi eventualmente tradurlo nelle proprie aziende; tipo giapponese: andiamo, vediamo, impariamo e lo rifacciamo. Poi l’ABJ, la moda, l’onda e tutto quello che ne consegue: l’ultima novità cancella tutta la storia. E il mondo dell’apicoltura è particolarmente soggetto a questa malattia dell’ultima moda; anzi, più esotica, più spettacolare, più stralunante è e meglio è: è sempre la migliore e chi sa cavalcarla è sempre il migliore. All’americana, e l’ABJ è il megafono del modo di fare apicoltura dell’industria apistica americana, ed anche questa è realtà che deve essere vista e letta nelle sue motivazioni politiche ed economiche. Se si vuole capire che cosa è veramente successo nella produzione della pappa e bene fare uno scarto di lato, una pausa, un passo indietro e chiedersi: dove era arrivata la tecnologia della produzione della pappa prima dell’esperienza cinese?

Un po’ di storia europea ed italiana

Ragioniamo per ora sul dato ad innesto, a partire da un libro: il Manuale pratico del produttore di pappa reale di Alin Caillas. Il copyright è del 1960, e nella prefazione si legge che il libro faceva il punto su una situazione di produzione intensiva che si era codificata dopo molti anni di esperimenti attraverso i quali si erano lentamente delineate “le basi di una razionale tecnica di produzione”. Ad occhio siamo di fronte alla registrazione di un altro salto eccezionale, avvenuto subito dopo la guerra. Il dato finale è, nella sue punte migliori, una media di 0,40 g a innesto, ottenuta con l’arnia vivaio e, successivamente, il cassone all’italiana. Da notare che, come per l’esperienza cinese, si parla di esperienze pilota e non della produzione dell’apicoltore medio. Dopo l’apicoltura è rimasta ferma per 40/50 anni: 0,40 g a innesto è ancora il risultato dei migliori produttori professionisti italiani specializzati nel cassone all’italiana, senza regine selezionate e senza nutrizione proteica. Se è sempre bene partire dal prototipo per leggere lo sviluppo successivo e collocare ciascuno nel posto che effettivamente occupa, allora è fondamentale mettere a fuoco questa “razionale tecnica di produzione” per capire cosa veramente è successo in Cina.

E qui iniziano le sorprese. Tutti gli ingredienti “cinesi” già ci sono, ma ad un livello quasi di prototipo o di preistoria; o meglio, spinti fino al punto al quale permetteva di avvivare lo sviluppo storico della tecnologia apistica, soprattutto in fatto di selezione genetica. Proviamo a ripercorrerli:

1) Importanza fondamentale dell’ambiente: la stessa tecnica di produzione e la stessa razza di ape in ambienti differenti ottiene produzioni che possono più che raddoppiare o dimezzare. L’ambiente è fondamentale per durata del raccolto, temperatura e pascolo in nettare e soprattutto polline.

2) Importanza fondamentale della razza di api.

3) E’ necessaria una densità ottimale di api dell’età giusta nella camera di accettazione in modo da realizzare su ogni singolo innesto una “pressione” tale da ottenere il massimo di rendimento in ogni cupolino, ottimizzando così il rapporto fra tempo di lavoro impiegato e valore prodotto.

4) La densità deve essere costante nel tempo con la giusta proporzione di api di tutte le età, e si ottiene attraverso una conduzione scientifica e programmata degli alveari.

5) La popolosità deve essere considerata sia in assoluto che in relativo rispetto alla cubatura del cassone adottato.

6) Il numero di innesti deve essere calibrato sulla base delle accettazioni e del dato che si ottiene a cupolino, in modo da ottimizzare la produttività.

7) E’ di importanza fondamentale per una conduzione scientifica e programmata della famiglia avere regine selezionate che, oltre ad essere predisposte per la produzione di pappa, devono produrre e sopportare una fortissima popolazione per tutta la stagione produttiva senza entrare in sciamatura.

8) Visivamente le famiglie devono sempre presentarsi come in situazione di pre-sciamatura.

9) La popolosità deve essere programmata e mantenuta per tutta la stagione della produzione, intervenendo con la nutrizione artificiale tutte le volte che il raccolto scarseggia sia in quantità che in qualità. Ad es., con una forte importazione di nettare, se è basso l’apporto di polline, si deve comunque intervenire con polline o succedanei (oggi si direbbe nutrizione proteica).

10) La forma dell’arnia più adatta per produrre pappa è: a) in estensione verticale, il cassone a due corpi sovrapposti; b) in estensione orizzontale, l’arnia vivaio e il cassone all’italiana. Il cassone a favo caldo può essere ricondotto ad una delle molteplici soluzioni dell’estensione orizzontale.

11) La caratteristica comune a tutti questi cassoni è che, in teoria, permettono di effettuare la rimonta dalla stessa arnia, con notevole risparmio di lavoro. Si è affermato su di tutti come migliore il cassone all’italiana, poiché ha ad disposizione due famiglie per effettuare la rimonta e mantenere alta la densità nella parte orfana.

12) Il limite comune a tutti questi cassoni è che sono fortemente soggetti alla sciamatura, la parte con regina si imballa in caso di forti importazioni, la densità che si riesce ad ottenere nella parte orfana è comunque quella che riesce a produrre la capacità di attrazione di api nutrici esercitata da uno o due favi di covata aperta e due uno o due favi di covata chiusa e, spesso, una famiglia da rimonta non è sufficiente per mantenere la densità di popolazione ottimale nella parte orfana, per cui è necessario ogni tanto ripopolare prelevando da altre famiglie. Un altro handicap notevole per aziende professionali è l’eccessiva laboriosità per il mantenimento della loro efficienza, nonché il notevole peso di queste arnie, che rende molto difficile, se non impossibile, effettuare un minimo di nomadismo, come invece sarebbe quasi sempre molto utile.

13) Tutti questi limiti riducono fortemente la produttività del lavoro, che non è data dalla quantità in assoluto del prodotto, ma dal valore prodotto in relazione agli investimenti necessari e alla quantità e al costo del tempo di lavoro necessario. La produttività maggiore, in Italia, si è ottenuta con il cassone all’italiana; e la situazione è rimasta ferma per 40/50 anni. Il massimo di innesti che questi cassoni riescono a portare avanti in maniera ottimale (con il risultato andante di più o meno 0,3 gg ad innesto e punte medie anche fino a 0,4) sono tre stecche da 25 o 30 cupolini. Oltre fino ad ora non si era riusciti ad andare.

Cosa cambia nell’esperienza cinese

Fermo restando che la Cina, in particolare al sud, sembra un ambiente ottimale per la produzione della pappa reale, (ma anche di miele), quale è stato il cambiamento nella tecnica apistica che ha permesso (sottolineiamo sembra) di raddoppiare il dato ad innesto e triplicare quello a cassone? Se si guarda bene, cambiamenti fondamentali nella tecnica non ce ne sono, tranne uno, veramente geniale, nel rapporto di cubatura fra parte orfana e parte con regina, come vedremo fra poco. Ma anche questo è la conseguenza logica e necessaria dello sviluppo fino a conseguenze estreme di un principio già noto e sfruttato: dopo l’ambiente, fondamentale è la razza, e l’ape italiana è la migliore; all’interno della razza si devono selezionare ceppi con particolare predisposizione alla produzione di pappa reale. Il passaggio successivo era possibile negli anni 90 mentre negli anni 50 ancora no: ceppi selezionati come validi devono poi essere continuamente migliorati, cercando di fissare nella discendenza il miglioramento.

Ed è quello che hanno fatto i cinesi: hanno selezionato linee estremamente prolifiche, poco soggette alla sciamatura e molto predisposte alla produzione di pappa reale; poi attraverso incroci successivi controllati con l’inseminazione artificiale e l’accoppiamento in stazioni isolate, le hanno migliorate specializzandole fino ad ottenere il risultato attuale. Da quello che si riesce a capire queste regine sono in grado di tenere molti telai di covata dall’inizio alla fine della stagione, come si dice, da legno a legno; e il risultato, dentro il cassone, è un’enorme densità di api estremamente predisposte alla produzione di pappa. Sempre da quello che si riesce a capire, non sono ancora riusciti a fissare le specializzazioni ottenute, che recedono rapidamente con l’accoppiamento non controllato; e inoltre sembra che queste famiglie siano estremamente soggette alle malattie della covata, peste americana in particolare, e che abbiano grossissimi problemi di invernamento. Comunque, per rimanere alla produzione di pappa, la conseguenza è che riescono a portare avanti un numero di innesti molto più alto, e che quindi ci sia bisogno di uno spazio orfano molto maggiore di quello precedente.

Qui arriviamo alla modificazione fondamentale del cassone. Con regine così prolifiche è naturale che la forma migliore sia il cassone a doppio corpo in estensione verticale: si riesce a riempire l’enorme cubatura con una densità di api veramente ottimale, ma c’è bisogno di uno spazio molto più ampio per poter mettere fino a punte di 15 stecche per innesto. Diventa quindi necessario confinare la regina in una camera di deposizione proporzionale alla capacità di deporre, dalla quale si preleva ogni rimonta i telai che si spostano nella parte orfana per attirarvi le api nutrici. Questo spazio è delimitato da due escludiregina, uno verticale ed uno orizzontale e, data la forte capacità di deposizione delle regine, non si intasa mai, neppure in presenza di forti importazioni. Inoltre, facendo bene la rimonta, i telai vengono rimessi nella camera di deposizione al momento dello sfarfallamento, la regina ha a disposizione sempre telai vuoti sui quali deporre e viene sfruttata al massimo la sua potenzialità come non avviene se è confinata in uno spazio che, per comodità, chiamiamo aperto. E’ un concetto di cassone completamente nuovo e che non può non essere preso seriamente in considerazione.

Ricapitolando, tutti i criteri che avevano permesso il grande salto nel dopoguerra sono portati alle loro estreme conseguenze: 1)La specializzazione genetica è portata a livelli fino ad ora sconosciuti in apicoltura. 2)Il concetto di cassone viene perfezionato in un nuovo principio fondamentale: invece di isolare la parte orfana in uno spazio predefinito, isolo la regina in una camera di deposizione corrispondente alla sua capacità di deporre. L’altro spazio viene modulato in proporzione alla densità di api che riesco ad ottenere, dandogli tanti innesti quanti riescono a tirarne in maniera ottimale. Concludendo, personalmente credo che i dati disponibili dell’esperienza cinese siano riferiti ad apiari sperimentali condotti con metodi rigorosamente scientifici sicuramente non alla portata del produttore medio cinese (e non solo cinese) ma, piaccia o non piaccia, è un dato di fatto al quale la storia dell’apicoltura è arrivata. E poiché, come i saggi cinesi ci insegnano, c’è sempre un prima e un dopo, da questo dato il futuro dell’apicoltura riparte. Certo è che in una situazione di mercato nella quale il prezzo della pappa ritorna ad essere remunerativo, l’interesse ad un amento della produttività da parte delle aziende è forte, e l’esperienza cinese offre molto materiale sul quale riflettere.

Riflettere non vuol dire copiare in maniera pedissequa, che è sempre un rifare peggio; ma un valutare i pro e i contro, che in questo caso potrebbero essere: considerato che l’utile consiste nella differenza fra prezzo che si realizza e costo di produzione complessivo (investimenti + costo del lavoro e valutazione del mancato guadagno organizzando altre produzioni alternative, come ad es. produzione di nuclei, regine, miele, ecc.), è l’organizzazione del lavoro alla cinese il modo migliore per sfruttare i principi da loro perfezionati e, nel caso del cassone, è probabile anche scoperti? Nella seconda parte cercheremo di riflettere su questo problema ragionando su un’esperienza aziendale.