articoli e traduzioni di apicoltura
Perché produrre pappa reale e come semplificare il processo produttivo (parte seconda)
di Gabriele Milli
Uscito in Lapis
Un breve riassunto della prima parte
Nella prima parte di questo articolo abbiamo tentato di ricostruire brevemente il perché del crescente interesse alla produzione di pappa reale, individuandolo soprattutto nella maggiore remuneratività della lavorazione di questo prodotto apistico. Le cause sono: 1) una crescita di interesse da parte del consumatore; 2) una forte diversificazione dì prezzo al consumo fra prodotto cinese e prodotto nazionale; 3) una interessante diversificazione di prezzo del prodotto italiano a seconda della qualità; 4) un aumento di produttività, dopo molti ani di inerzia, ad un crescente interrogarsi o reinterrogarsi su come migliorare questa produzione. Abbiamo visto anche l’esperienza cinese, che offre materiale di riflessione molto interessante; ma abbiamo anche cercato di ricostruire come sia, più che una novità in assoluto, la logica conseguenza di tecniche già protocollate negli anni cinquanta e condotte alle loro per ora estreme conseguenze soprattutto nella specializzazione genetica e nel modello di cassone. Concludevamo dicendo che i dati disponibili dalla Cina si riferiscono ad apiari condotti con metodi rigorosamente scientifici e sicuramente non alla portata dell’apicoltore medio; ma, piaccia o non piaccia, è sicuramente un punto di arrivo che bisogna conoscere anche perché il futuro dell’apicoltura, nella produzione della pappa, è da questa esperienza che riparte. Ci chiedevamo infine se l’organizzazione del lavoro alla cinese sia il modo migliore per sfruttare i principi da loro perfezionati e, nel caso del cassone, probabilmente anche scoperti, o se non si possa già da ora tentare di andare oltre, magari cercando di semplificare il processo produttivo. Cerchiamo di ripartire da qui, in questa seconda parte, rimandando alla lettura della prima per un maggiore approfondimento di quanto brevemente riassunto per esigenze di comprensione e di raccordo.
Un’esperienza aziendale
Forse può interessare la strada presa da un’azienda, come Api e miele Valmarecchia, che è arrivata alla produzione di pappa in un ambiente ottimale per la qualità ma non certo per la quantità (Appennino tosco/romagnolo/marchigiano a 750 m di altezza, con un buon flusso continuo di polline ma con una bassa e discontinua importazione di nettare e con temperature montane). La produzione di pappa non è la vocazione aziendale principale, ma esigenze di reddito la consigliavano per ottimizzare i tempi dedicati al traslarvo per le regine: nelle due giornate settimanali di innesti e rimonta (lo standard ogni traslarvo è 33 stecche con 13 innesti) diventa quasi naturale rimanere all’abitazione e continuare con l’attività già avviata. Si mangia qualcosa e, invece di caricare il gippone ecc., via che si riparte in due: a sera altre quaranta stecche a pappa con 30 innesti sono fatte e raccolte. Non è la Cina e neppure il miele (quando c’è) però aiuta: un prodotto in più nel listino, l’immagine complessiva, essere in alcuni punti particolarmente prestigiosi che fanno nome, il rimpallo di sponda sul miele, alcuni clienti che acquistano regine e prendono anche un po’ di pappa, ecc. Alla fine, considerata la media fra abitazione, rivenditori ed altri apicoltori, una discreta paga oraria ci scappa, soprattutto se si riesce a collocare il prodotto nei mercati di qualità.
Produrre pappa o produrre regine, fino ad un certo punto, è sostanzialmente la stessa cosa, e il problema più grande che ci siamo trovato di fronte appena siamo partiti sono stati i cassoni. Ne abbiamo provati molti: in estensione orizzontale, verticale, arniette orfane, ecc. Considerata anche la necessità di spostarli a fine stagione nella valle bassa, più vicino al mare, per aiutarli a ripartire saccheggiando il meno possibile le famiglie a miele, e quindi la necessità assoluta della loro maneggevolezza, e considerato anche il clima appenninico molto bizzarro ed imprevedibile, ci siamo focalizzati sul cassone a favo caldo: il cassone dei grandi allevatori bolognesi, sicuramente ottimale per avere celle di qualità. Per anni lo abbiamo sperimentato in tutte le versioni possibili e non siamo riusciti a risolvere un difetto per noi strutturale: per avere buone celle è essenziale che la parte orfana sia davanti, perché la griglia escludiregina costituisce comunque un ostacolo per le api, le quali rientrando depositano il polline, indispensabile sia per produrre regine che per produrre pappa, nella parte anteriore; ma per lo stesso motivo, avendo a disposizione poco polline, la famiglia dietro con regina rallenta fortemente il proprio sviluppo; quindi è necessario avere sempre a disposizione api e covata da altre famiglie per mantenere la popolazione giusta ed effettuare la rimonta. Così, alla fine, si ritorna al nocciolo del cassone all’italiana: due famiglie sono indispensabili per effettuare la rimonta. Vantaggi e svantaggi reciproci, ma comunque un dispendio di api enorme ed una laboriosità eccessiva che incide troppo sul tempo da dedicare al mantenimento della loro efficienza.
Per motivi di spazio saltiamo molti passaggi intermedi ed arriviamo alla soluzione attuale, messa a punto, mentre stavamo provando altro, a seguito della conoscenza dell’esperienza cinese. Avevamo iniziato a sperimentare un’arnietta da sei con l’escludiregina centrale (verticale) e superiore (orizzontale sopra la parte con regina) che formava una camera di deposizione simile alla cinese, e qui avevamo già migliorato di molto: sopra un melarietto per sfogo del miele, il tutto molto maneggevole, abbastanza facile da popolare e mantenere, una famiglia sola sufficiente al 70% per la rimonta, facilissima e velocissima da controllare, la sciamatura inesistente,in più, vantaggio per noi grandissimo, situazione buona per produrre in continuazione maschi, indispensabili per un allevatore di regine. Tuttavia non eravamo ancora soddisfatti, perché: 1)il senso di orfanità non era molto forte; 2)lo sviluppo della famiglia con regina era comunque rallentato dal passaggio obbligato attraverso l’escludiregina; 3) non era ancora costante quella densità di api che riteniamo indispensabile per produrre sia pappa che celle.
Siamo rimasti fermi fino a che, grazie anche alla segnalazione di un allevatore piemontese amico, Angelo Barberis, non siamo arrivati all’esperienza cinese. La sua lettura sull’ABJ ci ha permesso di capire fino in fondo il concetto (ripetiamo: geniale!!!!!!) di camera di deposizione: vale a dire confinare la regina in uno spazio predefinito. Per cui: 1.abbiamo ridotto da tre a due i telai nella parte con regina, mettendo al posto del telaio tolto un nutritore che può essere usato all’occorrenza e a seconda del bisogno come e con quello che uno preferisce (abbiamo ridotto ulteriormente la cubatura aumentando la densità e abbiamo concentrato la capacità di deporre della regina su due invece che su tre telai); 2.abbiamo dato un’uscita sia alla famiglia orfana che alla famiglia con regina (sia la camera di covata che la camera di accettazione hanno accesso direttamente alle risorse esterne); 3.abbiamo sostituito l’escludiregina verticale con un diaframma ad esclusione totale (la comunicazione fra le due famiglie è diminuita fortemente e aumenta altrettanto fortemente il senso di orfanità ma lo scambio di nutrici rimane inalterato attraverso l’escludiregina superiore). In questo modo abbiamo ottenuto lo sviluppo desiderato della famiglia da rimonta, per cui una buona regina (senza essere eccezionale) è capace di una produzione continua di api che satura la cubatura esistente con una densità che iniziamo a considerare vicina all’ottimale. Una regina da miele normale è in grado di condurre la produzione per tutta o quasi tutta la stagione, e, se uno è svelto a sostituirla ai primi segnali di cedimento, è sufficiente alla rimonta al 100 per cento dei casi. E’ chiaro che il 100 per cento dipende dall’esperienza e dall’occhio lungo dell’apicoltore, ed è anche per noi ancora un obbiettivo, ma pensiamo di raggiungerlo con una buona approssimazione nella stagione in corso aumentando la produttività del lavoro di un altro buon 30%.
Partendo da altre strade ci siamo arrivati anche noi: è in tutto e per tutto un “cinese”, ma fortemente rimpicciolito e già “evoluto” verso qualcos’altro. Conserva il principio della densità ottimale necessaria per produrre regine o pappa da ottenere con una sola famiglia da rimonta, ma invece delle 80/100 mila api (ad occhio) del cassone cinese, ce ne sono (sempre ad occhio) 20/25 mila con punte anche superiori e quattro telai di covata che ruotano fra camera di deposizione e camera di allevamento. Un pregio per noi fondamentale è l’estrema maneggevolezza e semplicità nelle operazioni di rimonta e inserimento o prelievo delle stecche; maneggevolezza che permette, oltre all’intercambiabilità fra mano d’opera “maschile” e “femminile”, di lavorare molte ore di seguito anche con temperature molto alte o nella semioscurità serale o sotto la pioggia senza essere necessariamente scaricatori di porto e senza massacrare troppo le api. Nel caso della rimonta, ad es., possono essere fatti 15/18 cassoni all’ora se non ci sono intoppi come orfanità, regine da sostituire, vergini che ci si sono infilate venendo chissà da dove, ecc.
E’ da dire inoltre che per Api e miele valmarecchia sarebbe impossibile utilizzare regine selezionate per produrre pappa, perché questi “cinesini” posti al centro della valle di Rofelle devono produrre anche maschi selezionati per regine da miele, come già dicevamo. Si sa che le due cose (produrre regine da pappa e da miele) sono incompatibili, e per noi anche l’abbondanza di maschi prodotti dalle nostre linee in qualsiasi momento dell’anno è un ritorno non secondario; anzi, forse più importante della pappa, soprattutto come investimento con un ritorni, per ora auspicabili, a tempi più lunghi, e comunque è parte indispensabile di alcune messe a punto nella produzione di api regine ancora in corso.
La nostra produttività attuale è la seguente: noi diamo ai nostri cassoncini una stecca da 13 innesti, nel caso di produzione di celle, ed una stecca da 30 innesti nel caso di produzione di pappa; dopo varie prove, per ora questa è la situazione ottimale. Il risultato medio della stagione passata è stato di 0,28 g ad innesto, che riteniamo migliorabile di un buon 30% con una gestione più oculata e lungimirante delle famiglie e alcuni accorgimenti ulteriori nella nutrizione . Per stile aziendale, e di vita, per noi nessun risultato è mai definitivo: ogni passo fatto lo consideriamo un’occasione per andare oltre, e siamo sempre disposti, bilancio permettendo, a rimetterci a lavorare per cercare nuove soluzioni e definire nuovi obbiettivi; ma, per ora e per le nostre esigenze aziendali, nel nostro calcolo dell’utile è questo l’equilibrio migliore che abbiamo trovato fra valore prodotto, tempo di lavoro impiegato, investimenti effettuati e mancato guadagno di altre attività che, nello stesso tempo avrebbero potuto essere fatte. Pregio non ultimo, per noi, è la flessibilità estrema, che permette di montare e smontare in pochi minuti di lavoro, e quindi anche la possibilità di corrispondere alla domanda in qualsiasi momento e, ad inizio e fine produzione, di spostare tutto sugliapiari a miele ecc.: qui, come altrove, chi conosce il mestiere capisce quello che c’è da capire.
Una conclusione che non c’è e che, forse, non c’entra
Ci scusiamo per l’arroganza della battuta precedente e per le conclusioni che seguiranno: l’una e le altre potrebbero sembrare non c’entrarci con quanto. E’ la debolezza di un piccolo sfogo dovuto al fatto è “noi” siamo stanchi di un andazzo generale nel mondo di oggi nel quale c’è anche l’apicoltura di oggi. E’ un plurale maiestatico perché crediamo di non essere soli, anche se pochi: secondo “noi” quasi dovunque nei mercati di piazza si vende del gran fumo e si è perso di vista, quasi dovunque, che il principio dovrebbe essere sempre l’utile, che è sempre più del profitto anche se, spesso, richiede più lungimiranza. E per concludere ci teniamo a dire che quanto sopra l’abbiamo scritto solamente perché ci piace stare nella comunicazione, per la grandissima utilità che ne deriva. Noi la consideriamo come un granaio dove chiunque può entrare mette il poco che può e prende il molto che gli serve; e se il poco che mette può essere molto per altri, non sta a lui a deciderlo. La porta di accesso è una lepre e un gambero, il gambero ha una mano monca e rimane di fuori. Questo principio della comunicazione è il filo del gomitolo che ci srotola la strada e, sulla strada, gli addii, gli incontri e il cammino. Un grazie di cuore all’incontro che ci ha socchiuso la porta di (speriamo) un nuovo sentiero e, con la signorile ed aristocratica discrezione dei pochi, ci ha invitato ad curiosare un pochino. A noi, ibridi appenninici fra Toscana, Marche, Romagna ed Umbria, per metà indigeni e per metà nomadi, è sempre piaciuto vagabondare curiosando in qua e in là sempre fedeli alle nostre radici più autoctone, e abbiamo sempre avuto una grandissima fede nell’oltre e non nel più. Nel nostro sentirci sempre ospiti, abbiamo dovunque trovato un grandissimo fascino per l’allevamento delle api; ma da nessun’altra parte abbiamo riscontrato l’importanza che gli viene riservata nel mondo celtico: qui, oltre la scienza, oltre l’economia, oltre la religione, oltre la politica, oltre la filosofia, oltre l’arte in generale ed oltre la poesia, l’allevamento delle api è la forma più alta di conoscenza, sapere o sapienza, al quale l’uomo può tendere, perché è sempre un oltre andare e mai uno stare.
Un altro grazie di cuore a chi ha reso e rende possibile, per ora e nel futuro, la grande festa di primavera degli orsi, lassù, al salto dei salmoni, nelle acque fresche ancora vicine alle nostre sorgenti.