articoli e traduzioni di apicoltura

Quali api per quale apicoltura? Allevare regine conciliando etica e mercato.

di Gabriele Milli
Uscito in Apimondia

A Claudio Cauda e Francesco Bortot

“Sana?” ”Guarita, che è meglio” A. Manzoni

L’apicoltura, anche se in ritardo rispetto ad altre attività agricole, sta registrando cambiamenti strutturali che trasformano in maniera forse irreversibile il cosa produrre e il come produrlo. Certo, la globalizzazione dei mercati svolge un ruolo fondamentale, ad es. il prezzo dei prodotti apistici ormai è unico a livello mondiale; ma anche modificazioni strutturali nella produzione agricola, innovazioni tecnologiche impensabili e costi di produzione ieri inimmaginabili, rendono inevitabile ripensare completamente anche l’attività apistica. Per non dire del problema varroa, che rende assolutamente imprevedibile la produzione e fa impazzire i costi.

Questo ripensamento si svolge lungo due direzioni fondamentali: 1) intensificazione della produttività per singolo alveare, sia per l’apicoltura nomade che per quella stanziale; 2) diversificazione della produzione sia per singole aziende sia all’interno della stessa azienda. In sostanza, il massimo della produttività con il massimo della flessibilità, con un’estrema velocità a cogliere le occasioni produttive e a spostarsi da un prodotto all’altro: miele, pappa reale, polline, api regine, ecc., possono sostituirsi da un anno all’altro o durante la stessa stagione apistica, sempre con il massimo di specializzazione e professionalità, fattori comunque imprescindibili per reggere la concorrenza. E’ scontato che per produttività si intende la percentuale di utile: dall’esistenza e dall’ampiezza dell’utile dipende se l’apicoltura potrà o meno continuare ad esistere. E’ questo il nocciolo, che costringe l’apicoltura ad una trasformazione che era inimmaginabile.

Si aggiungono due difficoltà imprevedibili e drammatiche: una dovuta a fattori climatici, forse irreversibile, e un’altra, ancor più drammatica, dovuta a trattamenti dissennati in agricoltura. La situazione, come sempre avviene in presenza di cambiamenti epocali, ha dei risvolti tragici per molte imprese, non poche delle quali in fortissime difficoltà economiche, costrette ad utilizzare risorse finanziarie non piccole per riconversioni ineludibili e ad una progettualità aziendale che non era assolutamente richiesta fino a pochi anni fa. In questo momento le aziende medio-piccole prive di risorse finanziarie proprie, o si stanno facendo da parte per vedere cosa succede, oppure chiudono.

Per sommi capi comunque si può già intravedere il futuro: ieri c’era “una” apicoltura considerata produttiva (aziende mediograndi spesso con un nomadismo abbastanza spinto, produttrici di “materia prima”, aziende medio-piccole spesso dopolavoristi , che integrano la bassa produttività aziendale con il valore aggiunto della filiera corta), oggi “tante” apicolture che tentano strade nuove, e in alcuni casi con risultati anche interessanti.

Se si vuole capire qualcosa dell’attuale difficilissima situazione produttiva e di mercato nella quale si trova la ligustica, bisogna collocarla sullo sfondo di questo panorama. L’apicoltura è, nel piccolo e nel grande, un’attività produttiva ed ubbidisce alle leggi di tutte le altre: o fai utile, e il problema è come, oppure chiudi. L’ape regina ligustica è una merce che serve per produrre altre merci, per avere un utile aziendale: o è adeguata alle esigenze produttive, e allora è valida ed ha un mercato; oppure non lo è, e si adegua oppure scompare dal mercato. Può sempre sopravvivere “in purezza” in qualche riserva indiana, per la curiosità dei turisti o perché a qualcuno piace farsene bello, ma niente di più. E non può che essere così; e lo dice uno che ha fatto la scelta della “ligustica” il più ligustica possibile, lavorando per molti anni ad una selezione a ritroso; ma lo ha fatto solo per interesse aziendale, e dice chiaramente che in altro ambiente e per altro tipo di azienda non sa cosa avrebbe fatto.

Il processo non è nuovo a livello mondiale. E’ così dappertutto, e non si potrà mai più tornare indietro: le varie razze si confrontano sui diversi territori e per diversi fini produttivi, ed ora emerge una, ora emerge un’altra, ora emergono ibridi, a seconda della situazione. Tanti diversi territori, tante diverse apicolture, tante diverse capacità produttive delle api, tante diverse razze o ibridi di regine che trasmettono alle colonie le loro attitudini produttive. Il mondo è finalmente diventato un solo bel calderone che bolle sul fuoco della storia in presa diretta ed ogni “plof “ ci sforna un bel pezzettino di nuovo alla faccia di chi vorrebbe essere solo lui il creatore facitore demiurgo della “razza pura” per eccellenza: “La ligustica”. Nel passato remoto non era così in Italia: una bella razza nazionale, un pizzichino di Sicula, una scaciatina di Carnica, qualche macchietta di Mellifica, e poco caos: mogli e buoi dei paesi tuoi; nel passato prossimo ha iniziato a diventarlo prima in sordina e poi più o meno alla luce del sole, oggi è un fenomeno che ha dimensioni difficilmente quantificabili e per lo più sconosciute se non ai ben informati dei meandri e dei cunicoli più o meno occulti e triangolati ma sempre in qualche modo conosciuti.

Proviamo a mettere a fuoco la situazione con una panoramica a volo d’uccello: in Sicilia è decisamente una piccola minoranza etnica, in Calabria così così, Metaponto e Puglia, stendiamo un velo di pietoso silenzio, basso Abruzzo ???, bene nell’Adriatico dall’alto Abruzzo fino al Po, a macchia di leopardo sul Tirreno, il Veneto quasi completamente perduto, un po’ meglio forse la Lombardia ma peggio il Piemonte, e infine una notizia che mi mancava e dell’ultima ora, la Liguria andata sia per la ligustica che per la mellifera. Per non dire di strane “ligustiche”, di cui tutti nell’ombra parlano. Chiacchiere che se fossero solo pettegolezzo non verrebbe la pena ascoltare; ma nell’ambiente tutti sanno che non è così.

Quante centinaia di migliaia di alveari perduti? Si sta parlando dell’ambiente professionale, cioè di aziende che hanno i numeri per vivere di apicoltura in maniera dignitosa, e che a fine anno se non hanno fatto bilancio o usano risorse accantonate o chiudono. Non si può semplicemente dire di loro che sono “sciocchi” o peggio. Chi lo fa non ha chiaro il problema: si difendono come possono, magari sbagliando, ma sono la nostra industria apistica nazionale, che piaccia o non piaccia. E se chi lo dice rappresenta le istituzioni, gli andrebbe fatto notare che le istituzioni tutte (partiti, istituti, ecc) sono sicuramente in difetto per non aver saputo ascoltare i loro bisogni ed aiutarle a trovare una risposta adeguata. Il problema ligustica, come tutti gli altri che riguardano la società umana, ha un paesaggio politico nel quale si colloca, ed anche sullo sfondo di questo va letto; va da sé, ognuno poi lo legge con la propria lingua.

Comunque ripetiamo per chiarezza: mutate completamente le condizioni e le necessità della produzione, devono mutare anche le capacità produttive dell’animale; e se “la ligustica” ( e chi per lei) non è capace di adeguarsi e fornirle si cercano da altre parti, sul libero mercato della merce ape regina, dove più si trova quello che si avvicina alle esigenze del momento. Se non si inquadra su questo sfondo il problema delle razze e degli ibridi che si stanno ormai stabilmente insediando in Italia, non si mettono a fuoco i dati certi del problema e non si predispone neppure un “contrattacco” efficace della ligustica. E ci si può pensare solo se si è realisticamente convinti che la ligustica sia la strada che la produzione industriale deve percorre. E lo è se ci sono realmente le condizioni: 1)affinché la razza ligustica possa evolversi (non migliorarsi, per inciso: “miglioramento genetico” fatto dall’uomo, che bestemmia, e che mostri ha prodotto!); 2)perché possa affermarsi sul mercato. D’altra parte le razze immobili e la purezza irreale esistono solo nei musei, nei cimiteri, o nei deliri di onnipotenza: non nella produzione, e non in natura.

Ci sono le condizioni per una ripresa della ligustica? Per quanto riguarda il primo punto, Api e miele Valmarecchia sono molti anni che a lavora in questa direzione, nei limiti delle sue possibilità e capacità, a partire da una convinzione di fondo: quello che comunemente si intende per ligustica e che viene al 90 per cento commercializzato come tale, la cosiddetta bionda, è solo un ecotipo messo a punto da alcuni grandissimi allevatori fine ottocento – primi novecento su un habitat molto particolare, la pianura romagnola-emiliana. Si tratta di un animale certamente molto efficiente nell’ambiente dove è stato messo a punto; ma particolarmente calibrato sul suo ecosistema e la sua scarsa flessibilità, che riflette l’uniformità del contesto, rende il suo comportamento uniforme anche in altri habitat e forse per questo molto adatto ad essere “esportato”.

Probabilmente proprio le cause della sua fortuna ieri sono le ragioni della sua debolezza oggi: quello che va bene per tutti non va più bene per nessuno, serve quello che va bene per ogni situazione e produzione particolari. Inoltre questo “ecotipo”, modificato all’estero dagli uomini e dall’ambiente (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Cile, Cina, ecc.) ed oggi di ritorno, si reinsedia trasformato sul suo territorio di origine, assieme a Carnica, ecc. producendo degli “effetti di sponda” non trascurabili sulla popolazione apistica indigena. Infine, e non è di secondaria importanza, “la bionda” ha plasmato quasi tutto il territorio nazionale perché funzionale a “la” apicoltura quando era “una”, riducendo fortemente la variabilità genetica della ligustica, la cui caratteristica comportamentale rifletteva tutta la varietà dell’ambiente naturale italiano: pianura, collina, montagna, centro, nord, sud, ecc. Quindi l’impoverimento della variabilità e molteplicità delle capacità produttive insite naturalmente nell’incredibilmente ricca varietà genetica della ligustica, è stata causato anche dalla fortuna commerciale di un suo “ecotipo”. Ci sarebbe poi da notare che questa ape molto particolare, se non è selezionata continuamente, è “fortemente reversibile”, il che dovrebbe far riflettere. Credo che Francesco Mussi su questo abbia completamente ragione.

Siamo arrivati al punto in cui la ricchezza del patrimonio genetico nazionale “ligustica” è compromessa e non possiamo più recuperarla? Api e miele Valmarecchia non lo crede. Noi abbiamo fatto già da molti anni la scelta aziendale di lavorare in un’altra direzione, seguendo nostre strade, utilizzando nostri criteri e tecniche di selezione e di allevamento; e siamo arrivati, pur ancora con molti limiti, a un animale che non è più la “bionda” pur essendo ligustica, ed ha, per il nostro territorio e per il tipo di apicoltura che noi facciamo, prestazioni di gran lunga superiori a tutto il resto che possiamo trovare sul mercato. Diciamo che siamo arrivati, o stiamo arrivando, alla “aziendalmente nostra ligustica” tosco-marchigiano-romagnola, che è l’ambiente sul quale lavoriamo, con a centro Rofelle (alta Valmarecchia). Vogliamo essere chiari: non ci interessa una ligustica che vada bene per tutti, ma solo quella che va bene per noi: per la nostra azienda la nostra ligustica incomincia a funzionare come si deve, e tanto ci basta. I risultati ci incoraggiano a proseguire cercando, sulla base delle esperienze acquisite, di affinare meglio il lavoro di “favorire l’evoluzione naturale della ligustica verso i nostri interessi aziendali”. Abbiamo scelto questa strada invece della “specializzazione” o del “miglioramento genetico”; ed oggi ci sentiamo di poterla proporre anche ad altri: ciascuna azienda si faccia una propria selezione, partendo il più possibile dalla propria ape “indigena”o selezionando a ritroso la “bionda”, ed è possibile trovare, all’interno della ligustica, il tipo di ape migliore, cioè più valida, per le proprie esigenze produttive. Sembra difficile, ma è semplicissimo: una buona selezione massale è già sufficiente, anche perché ragionare per linee comporta problemi dei quali si deve essere consapevoli. Se poi le aziende non vogliono fare questo lavoro, ma comprare “genetica” sul mercato, è chiaro, oggi si trova solo quello che passa il convento; e domani sarà la stessa cosa.

Se questo è vero, e lo è, è chiaro che le conseguenze per il mercato delle regine non possono che essere devastanti. Vale a dire, il mercato con grossi numeri esiste solo per gli animali che vanno bene per tutti, cioè per nessuno, esattamente come sta succedendo. Per le regine selezionate su esigenze aziendali fortemente legate ad un territorio e ad un certo modo di produrre, non può esistere un mercato se non molto ristretto alle aziende e ai territori simili. D’altra parte è così per tutte le merci: la qualità è “differenza” e più è “particolare” più è per mercati molto ristretti con numeri molto piccoli. Inoltre produrre merci “rare” costa molto di più; e nel mondo delle merci, affinché possa esistere produzione, deve realizzarsi il costo di produzione e quell’aggiunta che si chiama utile aziendale. Se costa poco, vale poco, ligustica o altro che sia: è una legge universale inesorabile; ma è anche un problema, non piccolo, quando, per motivi vari, si devono sostituire le regine tutti gli anni: mille pezzi a 10 € sono 10.000 €, a 20 sono 20.000, e non è la stessa cosa. Però scelte radicali nella produzione comportano scelte radicali nel mercato, non c’è altra strada; e domanda e offerta oscillano fino a che si incontrano, e se non si incontrano c’è una produzione per il mercato che finisce. Non è una novità; succede per tutte le specie animali.

Noi siamo fortemente convinti, al punto tale di aver legato a questo l’esistenza della nostra azienda, che la strada sia una sola: ligustica selezionata da noi e per noi. Vogliamo ripeterlo ancora per avviarci alla fine; ma il problema va guardato senza pregiudizi o ipocrisie, solo con logica aziendale, e ognuno farà le scelte conseguenti. Siamo inoltre fortemente convinti che la “ligustica” oggi in crisi era stata il risultato di un processo storico al quale tutti gli attori del palcoscenico apicoltura avevano partecipato, ciascuno con il suo ruolo; e la ligustica di domani sarà il risultato del nuovo dovuto al cambiamento di tutti gli attori dell’oggi. Non è una fede cieca, è una prospettiva dei cui risultati siamo più che sicuri, a prescindere da chi la realizzerà. Non è una speranza, è un orizzonte. Una cosa è certa, mai più tornerà il tempo di “una” ape regina buona per tutti gli usi; e questa certezza è già un punto di non ritorno. Il resto starà a noi aziende costruirlo, ognuno seguendo il proprio utile; fermo restando, è bene ribadirlo ancora a scanso di equivoci, che per noi la grande miniera da sfruttare e il nostro vantaggio sulle altre apicolture nazionali è questa galassia ricchissima di possibilità che si chiama ligustica, ben più grande della “bionda”; e fermo restando, sempre a scanso di equivoci, la grandezza di una selezione che ha cambiato il mondo delle api.

Vogliamo sottolineare anche che per noi, nella situazione attuale, è un errore chiedere alle associazioni e allo stato di risolverci il problema. Se le aziende lo fanno, è perché sono inadeguate, e commettono un grande errore di valutazione: siamo soli. Che ognuno faccia la sua parte, ma le aziende il problema “ligustica o no”, come gli altri, se lo devono risolvere oggi, se domani vogliono esserci ancora. Noi ci limitiamo a ricordare che la ligustica di ieri l’avevano fatta le aziende, alcuni grandi capitani d’impresa da soli, ed avevano conquistato un mercato mondiale, e modificato l’ape a livello mondiale. Le ligustica di oggi e di domani, come ieri, è ancora nelle mani dell’impresa. Se potessimo permetterci una nota di colore poetico, un po’ sentimentale, ci verrebbe da scrivere che la stupefacente bellezza del mondo che cambia è vedere che rimane perfettamente immobile uguale a se stesso: non cambia. Fra le meraviglie di quella grande armonia che chiamiamo natura, l’uomo, pur con tutti i suoi difetti, è ancora meraviglia non seconda a nessuno. Nel bene e nel male, se siamo così è perché siamo anche noi natura: creature, creati, creatori; prodotti dal passato e produttori del nuovo: sana attività di impresa, con il coraggio consapevole di mettersi alla prova e di rischiare del proprio. In questo “stupore di vivere” c’è una grande etica: o fai utile o fallisci, e se fallisci te ne vai; prima o poi, ma grande o piccolo te ne vai. Un sano principio di realtà, l’impresa, l’unica speranza per la ligustica.

Produttori liberi e indipendenti, creatori fedeli all’orizzonte che ci svela lo sguardo della nostra mente e del nostro cuore, il nostro destino. Se la ligustica è l’orlo di un precipizio o lo sguardo lungo della nostra piccola avventura, solo il domani può dirlo. Per l’oggi siamo fieri di essere piccoli produttori apistici selezionatori ed allevatori; e siamo orgogliosi di essere italiani e della nostra ape italiana. Fedeli ai nostri maestri ci proponiamo, nel nostro piccolo, solo di continuare il loro lavoro: sono mutate le esigenze e le condizioni, e non potremo mai raggiungere le loro vette sublimi, ma li sentiamo alle spalle ad indicarci il futuro. Conforta ed aiuta.