Api e miele Valmarecchia:
tecniche di produzione e di uso di api regine per fini aziendali.
Montluçon (Auvergne), 3 e 4 febbraio 2015

Premessa

Gentile Presidente,
gentili Componenti del Consiglio Direttivo,
gentili Colleghi iscritti all’ANERCEA,

grazie per l’invito a relazionare sulle tecniche di produzione e di uso di api regine nella nostra piccola azienda. Alcuni di voi sono veramente cari amici, e non potevo dirvi di no; anche se mi viene da sorridere vedermi parlare di “tecniche” ad una platea come la vostra, di sicuro la migliore al mondo. Noi al massimo possiamo tentare di raccontarvi come abbiamo cercato di adattare alcune tecniche alle particolarità della nostra aziendina. Non abbiamo inventato niente; abbiamo solo tentato di imparare da altri; e in particolare dalla lettura dell’ancora più che ottimo libro di Gilles Fert, L’allevamento delle api regine.

Due parole sulla nostra azienda.

Io e Valeria, mia moglie, abbiamo iniziato a fare apicoltura professionale nel 2002. Lavoriamo in Italia centrale, su un territorio che va più o meno da Rimini-Pesaro a Siena; diciamo dal Mare Adriatico fino quasi al Tirreno. La sede aziendale è collocata al centro, alla distanza di un massimo di 3 ore di viaggio dagli apiari più lontani. Facciamo un’apicoltura stanziale, cercando di sfruttare, con apicolture differenti, le particolarità dei territori differenti. Vendiamo soprattutto all’ingrosso, e l’azienda si sta orientando sempre di più verso la produzione di miele e sciami; poi regine per uso aziendale, e in piccola misura anche pappa reale, polline, propoli.

Non è escluso che non torneremo a fare regine commerciali.

In azienda lavoriamo io e mia moglie Valeria a tempo pieno. Poi abbiamo:
*)una collaboratrice circa 3 giorni alla settimana durante tutto l’anno;
*)una collaboratrice stagionale che fa esclusivamente il lavoro di smielatura;
*)per 7 mesi un collaboratore a tempo pieno che fa squadra con me per il lavoro agli apiari;
*)a partire dal prossimo anno avremo per 5/6 mesi una collaboratrice a tempo pieno che farà squadra con Valeria, per il lavoro alle regine, nuclei, polline, pappa reale, ecc.;

L’anno scorso abbiamo invernato 1470 famiglie (famiglie=nuclei+alveari in produzione). Abbiamo avuto il 15/16% di perdite invernali. Quest’anno abbiamo invernato 1400 famiglie.

La nostra capacità d’invernamento, lavorando con due squadre alle api, dovrebbe aggirarsi fra 1600/2000 famiglie, a seconda dell’andamento stagionale. Noi ci definiamo artigianato industriale.

La nostra forza è:
a)una grande flessibilità che ci permette di passare da una produzione all’altra, a seconda degli andamenti stagionali e/o di mercato;
b)una grande diversificazione territoriale, che ci permette di distribuire e diversificare il lavoro secondo le particolarità territoriali e l’andamento delle stagioni per ogni apiario e su ogni territorio.

Le nostre debolezze:
L’azienda usa una vecchia struttura agricola poco adatta ad un’apicoltura professionale e la sede è lontana dalle aree produttive a miele.

Perché un’azienda dovrebbe prodursi api regine?

La prima domanda alla quale dobbiamo cercare di rispondere è: perché un’azienda dovrebbe prodursi api regine? Le risposte le conosciamo tutti, ma forse serve ripeterne due.

a)Perché sappiamo che la regina è la sorgente della vita del super-organismo alveare e delle dinamiche delle popolazioni presenti in essa; nonché della sua capacità di evolversi adattandosi alle mutazioni ambientali. Quindi è indispensabile avere regine di buona qualità fisiologica, prima ancora che genetica.
b)Perché è un grande risparmio. Ad es., noi consumiamo almeno 1.500 regine ogni anno in azienda; il che significa più o meno circa 20.000,00€ per acquistare regine commerciali; e circa 40.000,00€ per acquistare regine di buona qualità almeno fisiologica. Produrle in azienda è in primo luogo un grande risparmio.

Inoltre è indispensabile che un’azienda sappia usare le regine in modo da avere sempre al massimo dell’efficienza la propria capacità produttiva. Di conseguenza è indispensabile non solo che un’azienda possieda perfettamente le tecniche necessarie per produrle ed usarle, ma che sappia anche di riadattarle continuamente alle proprie particolarità territoriali e produttive.

Principi fondamentali e indispensabili per lavorare alle api:
qualità fisica e fisiologica della regina, e salubrità delle famiglie.

Facciamo ancora una piccola premessa. Per noi e nei limiti delle nostre capacità, la salubrità dell’allevamento in tutti i suoi momenti e la disponibilità continua di api regine è il presupposto fondamentale e indispensabile di qualsiasi lavoro con le api. Ma se non c’è salubrità non può esistere neppure qualità fisiologica della regina. Subito dopo viene saper lavorare in modo tale che le famiglie siano tutte il più possibile di eguale forza e quindi egualmente produttive.

Ripetiamo perché per noi è fondamentale: La qualità fisiologica della regina durante tuto il ciclo della sua esistenza e la salubrità delle famiglie sono così legate da essere due aspetti della stessa medaglia; e sono la nostra preoccupazione principale in ogni momento del lavoro alle api. Questa premessa vien prima di qualsiasi ragionamento sulla genetica, perché non ci può essere una buona genetica con cattiva qualità fisiologica. Per questo una buona conoscenza delle tecniche dell’allevamento è indispensabile per fare un’apicoltura produttiva.

Più in generale però pensiamo che non esista una tecnica buona ed una cattiva. Ciascuna tecnica è buona se usata bene per quello che può dare. Più ne conosciamo, più ne sappiamo usare correttamente, più la nostra azienda avrà un vantaggio sulle concorrenti; perché la realtà è che siamo imprese, e non dobbiamo mai dimenticarlo.

Ogni “tecnica” agisce su quel super organismo particolare che si chiama alveare, e che io preferisco chiamare famiglia. Ognuna vive con il suo equilibrio, che mantiene e/o ricrea continuamente: un’armonia che gli permette di vivere al meglio, e di essere produttiva al meglio. La preoccupazione prima di ogni nostra tecnica deve essere la sua conservazione o il suo ripristino se compromessa. Fuori da questo principio nessuna tecnica può dare risultati di qualità.

La produzione di celle reali: il cassone che usiamo noi.

Non si può parlare di tutto, e quindi ci soffermeremo solo sulle tecniche per noi più interessanti.

La produzione di celle reali di qualità è la prima condizione per avere regine di qualità, e esiste un numero grandissimo di tecniche per produrre celle reali: i così detti cassoni, verticali, orizzontali, starter, finisher, orfani, ecc. Noi alla fine abbiamo scelto quello che ci sembra il più adatto alle nostre esigenze: la produzione di circa 250 celle reali ogni settimana.

Si tratta di un’arnia da 7 telai divisa da un diaframma centrale ad esclusione totale. Una parte è orfana, ed è la camera di allevamento. Nell’altra, la camera di deposizione, è confinata la regina per produrre covata per la rimonta. La rimonta viene effettuata una volta la settimana.

Le due parti comunicano da sopra. In partenza attraverso la soffitta rovesciata; dopo attraverso un melarietto per lo sfogo superiore di api e miele. Naturalmente sopra i favi del nido è posto un escludi regina, che confina la regina nella camera di deposizione. A parte i momenti di raccolto intenso, il cassone è sempre nutrito con un pacco di candito. In partenza il candito è posto sopra l’escludi regina posto sopra i favi del nido. Il tutto è coperto da una pellicola sotto la soffitta rovesciata. Non è necessario che il candito sia proteico, perché abbiamo sempre grande abbondanza di polline. Le api possono accedere al candito direttamente sia dalla parte orfana che dalla camera di covata. La funzione della pellicola è sia di coibentare sopra per avere le condizioni di calore ottimale sia di creare condensa.

La parte orfana è composta da 2 telai di covata (uno larve ed uova che si dischiudono e l’altro covata chiusa) e un telaio porta stecche in mezzo. Non entriamo nel merito della rimonta perché sono sicuro che tutti la conoscete. È importante dire che, soprattutto in partenza, la parte esterna è coibentata da un diaframma posto fra l’ultimo telaio e la parete. Questo diaframma mi permette di modulare la camera di allevamento a fisarmonica, e quindi di modulare lo spazio fra i telai a seconda della stagione e delle condizioni di raccolto. Ad es. in partenza, fra il 10 e il 20 marzo, quando ancora fa freddo oppure possono esserci ritorni di freddo improvvisi e violenti, i due telai di covata sono completamente accostati e quindi attaccati al telaio portastecche. In questo modo le celle sono contenute in una camera interna alla camera di allevamento e protette dal freddo: a)lateralmente dai due telai di covata, e dalle api che la riscaldano; b)superiormente e esternamente dal legno dei telai completamente accostati. Il candito e la pellicola posta sopra al candito sono un’ulteriore coibentazione. La comunicazione superiore delle api permette anche la circolazione in alto del calore fra la camera di allevamento e la camera di deposizione, e quindi la climatizzazione ottimale della camera di allevamento, che essendo orfana tende ad essere abbandonata con il diminuire dalla covata da allevare.

Ad ogni cassone diamo una sola stecca con 13 innesti. Se un cassone è popolato bene, quando estraggo il telaio porta stecche le api devono rotolare come se stessi estraendo il telaio da un sacco di granturco.

La camera di deposizione, dove è confinata la regina, è formata, a seconda della forza della famiglia e delle esigenze di nutrizione, da tre telai di covata oppure da due telai di covata e un nutritore. Il nutritore all’esterno della camera di deposizione a sua volta funziona da coibentazione.

Usiamo, a seconda delle necessità stagionali, da 10 a 15 cassoncini per produrre celle, il che corrisponde ad un massimo di 390 innesti settimanali. Se abbiamo celle reali in sovrannumero rispetto al bisogno, le facciamo nascere in incubatrice e le usiamo come vergini.

Il vantaggio di questo cassoncino è che è sufficiente una famiglia normale per formarlo ed avere celle di qualità, può essere montato e smontato con grande velocità, si autoalimenta se la regina è di una qualità buona senza essere eccezionale, può essere spostato con grande facilità a seconda delle diverse zone dove noi lavoriamo nelle diverse stagioni, e, importanza non ultima, non richiede molta forza fisica per il suo uso e quindi può lavorarci anche mano d’opera femminile. Questo per noi è molto importante, perché al momento il lavoro all’allevamento è fatto quasi esclusivamente da mano d’opera femminile.

Altra cosa molto importante è che, come voi tutti sapete, è molto difficile mantenere un cassone in condizioni di salubrità ottime per un periodo molto lungo mentre questa è la condizione prima per avere celle di qualità. La semplicità del nostro cassoncino permette di smontarlo rapidamente al primo accenno di difficoltà e di sostituirlo con un altro sicuro dal punto di vista sanitario.

Uso delle celle reali: le incubatrici, trasporto e conservazione.

Noi facciamo innesti a distanze differenti dall’abitazione a seconda della stagione; ma le celle al terzo/quarto giorno dopo la loro chiusura vengono sempre prelevate dai cassoni e portate all’abitazione. Qui vengono mantenute in incubatrice fino al loro uso come celle o, dopo la loro nascita, come vergini. Poi dall’abitazione le celle o le vergini ripartono per gli apiari a miele o le varie stazioni di fecondazione. Questo trasporto viene fatto usando incubatrici da viaggio.

E’ fondamentale portare le celle all’abitazione, per averle a disposizione al momento del loro uso senza dover andare ai cassoni. E, soprattutto in primavera, è fondamentale poter avere celle reali o vergini quando si va agli apiari, anche perché in alcuni casi sono sostitutive delle regine.

La produzione e l’utilizzo di api regine negli apiari a miele in marzo-aprile.

La prima produzione di api regine la facciamo negli apiari a miele.

Abbiano alcuni apiari con circa 500 famiglie che usiamo esclusivamente per produrre sciami e api per uso aziendale o per la vendita. Sono in Toscana, in provincia di Siena, in una zona precoce non come la Maremma ma quasi. Diciamo con circa 7 giorni di ritardo rispetto alla Maremma. Lo svantaggio del leggero ritardo nella partenza iniziale è compensato da alcuni vantaggi successivi. Soprattutto dal fatto che mentre in Maremma è praticamente impossibile fare miele d’estate con un’apicoltura stanziale, nella zone dove siamo noi si fa sempre un discreto raccolto di millefiori estivo. Inoltre se piove a fine agosto primi settembre, si fa di sicuro anche un po’ di millefiori settembrino e spesso una discreta produzione di edera. Diciamo che, oltre le api da vendere o per uso aziendale, se lavoro bene una famiglia può farmi sicuramente 15/20 kg di miele. Si deve dire che le famiglie vengono bloccate nel loro sviluppo a 5 telai, ma per le particolarità estive della zona questo è perfetto; e inoltre mi trovo in autunno le famiglie già invernate sulla misura per noi ottimale in tutti gli apiari.

E’ quindi importante che dall’uso di una famiglia per produrre api, mi rimanga, se possibile, un nucleo di due telai con almeno un telaio di covata ben popolato di api, dove possa inserire una cella. Se la fecondazione avviene al primo giro, e se seguo bene il nucleo con la nutrizione e con pareggiamenti, potrebbe andare in produzione subito dopo l’acacia, durante il millefiori primaverile, e di sicuro al millefiori estivo. Questo è ancora più probabile se uso le vergini al posto delle celle, perché mi permette di anticipare la fecondazione di quattro/cinque giorni, con tutte le conseguenze positive che sapete.

Lo stesso meccanismo si usa per le famiglie che non arrivano in tempo per la vendita, cioè si spaccano e si riducono a nuclei di due telai. Poi abbandono la Toscana per dedicarmi completamente alla preparazione degli apiari a miele sull’Adriatico e a montare l’allevamento, ma tutte le famiglie sono pareggiate come se fossero nuclei di fecondazione su telaio grande. Così pareggiata, e con la situazione ottimale per il controllo della varroa, alla fine di aprile posso abbandonare la Toscana alla fine per tornare praticamente a metà giugno, quando inizia il millefiori estivo.

L’altro vantaggio è che con questo sistema la sciamatura in Toscana è nulla, mentre è una zona difficilissima, perché ricchissima di polline fino ai primi di maggio.

La produzione e l’uso di api regine a questo scopo l’anno passato mi ha permesso di vendere 300 nuclei su 5 telai grandi provenienti da questa zona, oltre l’uso di api per necessità aziendali, e i 330 “nuclei di fecondazione” rimasti mi hanno prodotto circa 50 q.li di miele; con una media di circa 15,5 kg a famiglia, in un’annata pessima per il millefiori estivo. Il valore lordo che mi ha reso la produzione e l’uso di regine in questo modo in Toscana nella prima primavera corrisponde all’incirca al valore di 4.000/4.500 regine commerciali, corrispondenti ad una produzione di circa 30/35 kg a miele ogni famiglia uscita dall’inverno. E con un lavoro veramente ridotto al minimo. Questo è possibile solo perché produciamo in azienda regine funzionali alla nostra apicoltura.

Lo stesso meccanismo lo uso per gli apiari a miele sull’Adriatico. Quando devo indebolire per controllare meglio la sciamatura, dopo aver recuperato le famiglie che hanno sofferto durante l’inverno, preferisco, invece che forzare sull’acacia, aumentare il più possibile il numero delle famiglie che vanno al millefiori. In questo modo controllo meglio la sciamatura, che è valutabile attorno al 7/10 % senza passare a scellare, e quindi al valore in più prodotto ci devo aggiungere il valore delle api non perdute per sciamatura. Inoltre la produzione di acacia è incerta, mentre il millefiori di primavera è sicuro.

Non ci dilunghiamo ulteriormente su questo: ciò che importa è il senso.

La stazione di fecondazione nella parte bassa della nostra valle.

Se abbiamo abbondanza di api, già i primi di aprile iniziamo a montare la stazione di fecondazione nella parte bassa della nostra valle. Altrimenti iniziamo finita la vendita delle api, dopo il 15 aprile e durante la preparazione delle famiglie a miele per la prima acacia. Tendenzialmente iniziamo ad avere le prime regine feconde dopo il 15/20 aprile. Ci piacerebbe averne in abbondanza già prima di quella data, ma non ce la facciamo: siamo troppo al nord, e siamo troppo assorbiti dalla vendita delle api in primavera presto e dalla preparazione delle api a miele.

Abbiamo provato ad acquistare regine al Sud, ma non vanno bene per il tipo di apicoltura che facciamo noi. Abbiamo cercato di produrle in Argentina con la nostra genetica, ma non siamo riusciti a superare ostacoli burocratici, e a trovare contatti giusti. Sarebbe fondamentale per noi averne almeno 150 a settimana, a partire dal 5/10 aprile fino ai primi di giugno, ma al momento non ce la facciamo; anche se il clima ce lo permetterebbe.

Montiamo le nostre apidee e altri nuclei con telai apidea, per un totale di poco più di 400, usando le api che rimangono dal processo che abbiamo descritto prima, oppure usando le api gli apiari nella Valmarecchia collinare. Gli apiari in collina hanno la caratteristica che sviluppano dopo gli apiari bassi e quindi di vengono tardi per vendere api, ma sviluppano prima rispetto alla fioritura dell’acacaia, che qui arriva dopo il 15 maggio; quindi mi danno meno api da vendere ma più api per uso aziendale.

Il meccanismo è quello che tutti conoscete, e sul quale non è necessario soffermarsi: una famiglia ben sviluppata nella seconda metà di aprile, viene svuotata di api lasciando 5/6/7 telai di covata con il minimo di api sufficienti a non farla morire. Se viene aiutata con la nutrizione, in 15 giorni ritorna alla sua forza precedente. Tutti conoscete anche la tecnica adottata, per cui la diciamo solo di sfuggita.

Si raccolgono le api scrollate in un imbuto dentro ad una cassa più o meno areata. E da questa si prelevano usando un mestolo, una ciotola, una tazza, o comunque qualcosa di simile. Per fare questa operazione le api posso essere stordire con la C02, oppure semplicemente spruzzate con acqua usando un nebulizzatore. Abbiamo provato la C02, ma non ci piace. Preferiamo bagnare le api, ma solo in modo che non volino; e riempiamo i nuclei di fecondazione con la solita tazza. Si deve lavorare molto veloci e forse si ammazza qualche apina in più, ma ci sembra che soffrano molto meno; e la durata della vita delle api è fondamentale per la partenza del nucleo.

I tempi del montaggio completo della stazione dipendono dalla quantità di api che possiamo usare, dal personale, dalle condizioni atmosferiche, ecc. Comunque non abbiamo più l’angoscia di vendere regine, e l’uso aziendale prima arriva e meglio è, ma comunque non si bucano consegne.

La gestione delle apidee

Avevamo smesso di usare apidee, perché non sono molto adatte per fare regine di qualità. Siamo stati però costretti a ritornarci perché con il telaio grande si fanno troppe poche regine. Il vantaggio del telaio grande, che comunque usiamo e lo vedremo più avanti, è la qualità migliore che si possa desiderare; ma per ottenerla devo avere nuclei molto forti e molto ben gestiti; quindi le regine devono deporre veramente a lungo, e così il numero delle regine prodotte è molto basso con un costo molto alto.

Approfittiamo di questo passaggio per dire anche che un nucleo su telaio grande gestito male è peggiore di un’apidea gestita bene. Il vantaggio del telaio grande sta nel fatto che alla fine della stagione ho un numero basso di regine prodotte; ma, se lavoro bene, ho anche un nucleo che inverno; e le sue possibilità di passare l’inverno sono attorno all’80%, almeno in Toscana. Un nucleo venduto a primavera equivale ad almeno 7 regine commerciali, il che ripaga il maggior costo di gestione e il basso numero di regine prodotte l’anno precedente. Per cui abbiamo continuato ad usare il telaio grande, nel modo che vedremo oltre, ma siamo stati costretti a riprendere le apidee, per produrre i numeri che ci servono.

Abbiamo però modificato leggermente il loro uso. Voi sapete che l’apidea ha la possibilità di essere usata con cinque telai sotto ed un nutritore sopra. Quello originale costa veramente troppo, ne abbiano fatto produrre uno simile ma con multistrato fenolico, che è anche molto più resistente. Il costo è stato inferiore a 5,00€ cadauno. Voi sapete anche che per impedire l’accesso della regina nel nutritore, nella comunicazione fra corpo dell’arnietta e nutritore viene posto un escludi-regina. E questo piccolo accessorio è molto importante per la flessibilità nell’uso che consente.

E’ molto importante anche dire che usiamo sempre un piccolissimo frammento di feromone mandibolare, circa 1 mm, infilato su uno spillo e posto accanto alla cella. La funzione è quella di tranquillizzare le api, di raccoglierle subito accanto alla cella affinché non soffra, e di impedire la deriva quando si aprono le apidee. In questo modo i nuclei possono essere composti, trasportati ed aperti subito alla stazione di fecondazione, senza doverli tenere al buio e al fresco fino a che non sia nata la vergine. Inoltre, in caso di orfanità dovuta alle cause più svariate, la deriva è ridotta al minimo e il nucleo può essere usato per una cella successiva, se le api non hanno sofferto o non sono già troppo vecchie. Il feromone va rinnovato ogni cella introdotta.

Abbiamo visto prima come si raccolgono le api e come si gestiscono per trasferirle nei nuclei. Nel caso della nostra apidea, posta una cella nell’apposito spazio fra in telai e con il feromone vicino, le api leggermente bagnate possono essere versate con una tazza nel nutritore soprastante, in quantità di 2000/2500 ognuna, assieme al candito. Il feromone attira le api subito nel corpo attorno alla cella. Così un’apidea può contenere più del doppio delle api di un’apidea normale e può essere nutrita continuamente con candito; ma il nutritore può funzionare anche come valvola di sfogo per le api, se diventa sovrappopolata. Voglio dire che un’apidea in questo modo può arrivare anche a 5 telai di covata nel nido, con più 3000 api, quindi con una autonomia molto più grande nei tempi per passare a raccogliere le regine feconde. Vale a dire che una regina feconda può essere accudita dalle api abbastanza bene e che posso passare a raccoglierla quando una bella parte della sua covata è già chiusa; anche dopo 25/30 gg, e voi sapete quanto sia importante raccogliere una regina dal nucleo quando sia fisiologicamente ben matura. Inoltre con una popolazione simile sempre ben nutrita è sicura anche una buona salubrità della famiglia.

È naturale che alla più piccola difficoltà l’apida vada smontata e rifatta. Voi sapete anche che il mini-nucleo è nato per essere smontato ogni volta, e che la produzione di più regine in successione senza smontarlo e rimontarlo è impropria rispetto alla sua origine; tuttavia, se è popolato e nutrito bene, e non ci sono perdite, lavorando bene si può fare, e questo è un vantaggio. Ma alla prima difficoltà l’apidea va smontata e rifatta, se si vogliono avere regine di qualità fisiologicamente accettabile. Così si può ottenere il meglio che può dare il mini-nucleo.

In questa stazione di fecondazione abbiamo più di 100 famiglie che producono anche fuchi, ma la gestione delle linee per la produzione dei fuchi non è perfetta, e comunque non riusciremmo a controllare il territorio.

La stazione di fecondazione isolata in poliandria controllata:
 a)uso dei nuclei di fecondazione apidea.

Dopo la fioritura dell’acacia in montagna, vale di dire a metà giugno, spostiamo l’allevamento in montagna, dove riusciamo a controllare la fecondazione da parte dei nostri maschi. Ma questo lo vedremo meglio nell’altra relazione.

Intanto diciamo che non siamo selezionatori, ma apicoltori che cercano di fare una buona selezione nei limiti delle nostre possibilità e a fini esclusivamente aziendali. Per questo è importante cercare di evitare il più possibile di portare maschi non desiderati in montagna. A questo scopo, ogni volta che si apre un’apidea, distruggiamo tutta la covata maschile che riusciamo a vedere.

E’ importante anche dire che la nostra applicazione rende molto più facile fare “nomadismo” con l’apidea. Basta togliere il tetto e fissare con un nastro adesivo un cappuccio di rete da zanzariera per non cuocerle durante il trasporto.

b)Uso dei nuclei su telaio grande.

Come dicevo prima, nella stazione di fecondazione in montagna usiamo anche i nuclei di fecondazione su telaio grande. Producono qualche regina, ma soprattutto producono nuclei da invernare con regine fecondate in poliandria controllata, e allevate con il massimo della qualità fisiologica e di salubrità di cui siamo capaci. Il loro numero dipende dall’andamento stagionale , da quante api posiamo prelevare dagli apiari a miele, dal tempo disponibile, ecc. Diciamo che quest’anno sono stati circa 100, mentre l’anno passato furono molti di più, forse 350/400.
Merita un po’ di attenzione come vengono fatti.

Negli apiari a miele allarghiamo le famiglie fino ad un massimo di 8 telai; e comunque in ogni famiglia c’è un nutritore e un diaframma, per cui tendiamo a non andare oltre 8 telai. In genere li allarghiamo fino alla covata che riescono ad allevare al momento dell’acacia; e li blocchiamo, meglio un pochino prima che un pochino dopo. Poi, passata la sciamatura, iniziamo a stringere fino ai telai di covata che riescono a tirare, fino ad arrivare a 5 telai al momento dell’invernamento. Se non li usiamo per fare nuove famiglie, mettiamo i telai in più comunque oltre il diaframma, perché, per una serie di motivi che non è il caso di affrontare qui, ci piace invernare molto stretto. Il meccanismo comunque funziona nel modo che segue.

Quando andiamo a prelevare i melari, il nostro numero perfetto sono 63 melari al giorno; anche se all’occorrenza con due gipponi e due rimorchi, dei quali solo uno per il muletto, potremmo portarne anche 150/200 al giorno, e in azienda posso fare una fisarmonica di oltre 600 melari.

63 è il numero di melari che riusciamo a gestire perfettamente ogni giorno nella smielatura, deumidificazione, trattamento opercolo, infustare il miele, ecc., ma è anche il numero che ci permette di andare, tornare, gestire il fuori e dentro la nostra piccolissima sala di smielatura; e, in due, ci rimane anche tempo per lavorare alle api agli apiari: controllare, cambiare regine, pareggiare, prendere api per rifare apidee, ecc. Quando un’arnia è aperta per smielare e se non c’è raccolto, è semplice prendere uno o due telai esterni con una rosa di circa 20 cm di covata per lato, scrollarli dalle api, schiacciare la covata maschile aperta o chiusa, e metterli in un’arnietta da 5 o 6 telai.

Altrettanto semplice è soffiare parte o tutte le api del melario attraverso un imbuto in una cassa raccoglitore e poi travasarle con la stessa tecnica delle apidee nel nucleo già predisposto con la covata nuda. In questo modo riusciamo a fare anche 10/15 nuclei ogni giorno, oltre smielare, tutti   perfettamente sfucati; e così si ottimizzano le spese di viaggio mentre s’incrementano il numero di nuclei che inverneremo con regine fecondate in poliandria controllata. La capacità produttiva delle famiglie a miele rimane invariata, perché il nido è più stretto; e comunque basta nutrire un pochino e la famiglia ritrova nel giro di pochissimi giorni tutta la sua capacità produttiva. La nutrizione non serve se c’è raccolto.

La stazione di fecondazione isolata per fecondazione con una sola linea maschi.

In questa stazione vorremmo usare esclusivamente nuclei su telaio grande, per l’ovvio motivo che le regine prodotte qui vorremmo verificarle tutte alla primavera successiva, e se sono già su nucleo grande, l’invernamento è molto più semplice.

Formazione dei nuclei su telaio grande da inizio estate fino ai primi di settembre

Una volta messa a punto la tecnica per fare nuclei di fecondazione su telaio grande agli apiari a miele, il limite della loro quantità è solo: a)nella situazione degli apiari a miele, e b)nel personale addetto a questo lavoro prima agli apiari e poi in montagna.

La stessa tecnica la usiamo per fare nuclei con regina a partire dall’inizio dell’estate fino ai primi di Settembre. Per comporre i nuclei usiamo sia api nude che telai di covata, a seconda dell’opportunità; e li portiamo comunque in montagna per controllarli meglio nell’accettazione e nel loro pareggiamento; ma soprattutto perché in montagna abbiamo sempre abbondanza di polline. Per questo quando li componiamo sfuchiamo sempre i telai di covata e/o le api. L’altra tecnica che usiamo per sfucare, oltre quella già vista di prelevare le api dal melario, è di soffiare le api attraverso una griglia escludi-regina posta dentro l’imbuto classico che tutti conosciamo, dentro al quale si scrollano le api dal telaio.

Questa tecnica la usiamo anche in primavera o autunno per prelevare le api per pareggiare o fare nuovi nuclei senza dover cercare la regina.

Comunque, per rimanere alla formazione dei nuclei estivi, tendenzialmente ogni volta che un apiario termina di essere produttivo a miele, lo pareggiamo tutto su cinque telai, e così è già pronto per l’invernamento, anche se è la fine di giungo. Con i telai e le api eccedenti formiamo nuclei più o meno forti a seconda del periodo, comunque sempre in modo tale che arrivino all’invernamento su quattro o cinque telai ben popolati di api invernanti. I nuclei così composti vengono portati in montagna, e se ne abbiamo a sufficienza, vengono inserite subito regine. Se non ne abbiamo usiamo celle reali o regine vergini; ma se la regina non si feconda al primo giro, introduciamo subito dopo una regina feconda. I nuclei rimangono comunque in montagna almeno fino alla fine dell’estate, e comunque non vengono portati agli apiari a miele prima che abbia piovuto a sufficienza affinché le api possano trovare polline in abbondanza.

I nuclei su telaio grande usati come nuclei di fecondazione su due/tre telai spesso non ce la fanno da soli ad arrivare a quattro telai ben popolati; per questo, a partite dal 20 agosto circa, li rinforziamo con api nude, con una tecnica molto simile al pacco d’api: un suo adattamento al nostro uso aziendale, della quale parleremo più avanti.

I genere la situazione ottimale è che le api possano fare due cicli di covata dopo essere stati sposati dalla montagna e prima dell’inverno. Se succede questo, le perdite nei nuclei sono veramente molto basse; e imputabili solo a situazioni di orfanità o di regine fucaiole.

Naturalmente voi tutti capite che stiamo parlando della situazione ottimale, e di quando va tutto bene. Nei fatti la realtà e sempre un po’ differente. Quest’anno, ad es., la deposizione si è interrotta molto presto, e i nuclei sono un po’ piccoli:

Nuclei su telaio da melario.

Quando facevamo regine a fini commerciali, usavamo molto il nucleo su telaio da melario. Era il nostro preferito, e montavamo circa 850 nuclei di fecondazione di questo formato, su un totale massimo di 1.200. Poi l’abbiamo abbandonato per vari motivi. Credo però che il prossimo anno lo riprenderemo. Questa tecnica ha le sue particolarità soprattutto per l’invernamento delle api dei nuclei e per la loro formazione primaverile, oltre che per la giusta misura della forza dei nuclei. La possiamo sviluppare nel dibattito, nel caso interessi.

Uso della tecnica del pacco d’api per formare nuclei e pareggiare.

Ogni anno che passa diventa per noi più importante lavorare continuamente le api. È sempre più importante per avere gli apiari il più possibile pareggiati e in condizioni ottimali per la loro capacità produttiva. In altri termini è sempre più importante essere capaci di ripristinare condizioni di salubrità nel caso di una famiglia che, per le cause più svariate, abbia sofferto.

Il principio è che una famiglia è un super organismo che per funzionare non deve scendere sotto una certa quantità di popolazione. Questa popolazione deve essere sana, e questo è più importante della quantità, fino ad un certo minimo. E nel caso ci sia sofferenza di qualsiasi tipo, o si sopprime la famiglia, come è nella logica sanitaria di tutti gli allevamenti, oppure si creano le condizione per la sua guarigione il più rapida possibile. Ma la guarigione non è immediata, segue comunque i tempi di una convalescenza che è abbastanza prevedibile a seconda dei casi. Tanto per fare un esempio, per una famiglia che ha sofferto di nosema in primavera, non sempre la convalescenza dell’intera stagione estiva è sufficiente alla sua guarigione. Allo stesso modo con facilità si possono eliminare tutte le api visivamente ammalate di virus di una famiglia a luglio, e si può stimolarla di modo tale che arrivi all’inverno fortemente ripopolata; ma questo non è sufficiente affinché riesca ad arrivarci con api così sane, robuste e resistenti da essere in grado di superarlo. Lavorare bene con le api nude diventa così importante non solo per fare nuovi sciami, ma anche, se non soprattutto, per operare trasfusioni di api sane a famiglie ammalate, in maniera tale che riacquistino condizioni di salubrità nel più breve tempo possibile. Sappiamo per esperienza che, lavorando bene, il corpo super-organismo permette amputazioni, o prelievi, che si rimarginano in pochi giorni senza traumi così come innesti o trapianti che attecchiscono nel giro di poche ore. E mentre l’allevamento delle api ha grandissimi svantaggi rispetto ai mammiferi, questo è un grandissimo vantaggio.

Come dicevamo, sappiamo che la tecnica del pacco d’api è la più funzionale per questa operazione di amputazione e innesto; e per questa rimandiamo al libro di Fert già citato prima. Ma il pacco ha il forte limite che richiede una procedura abbastanza complicata per la formazione e l’uso delle api deve avvenire in tempi abbastanza rapidi perché si usurano molto; Inoltre per usarlo devo aprire l’arnia e rovesciarlo dentro; e se l’arnia e molto debole, le probabilità che la regina venga uccisa sono alte.

Abbiamo cercato di superare questi limiti predisponendo un melarietto per arnia da 6 telai, con distanziatori per telai. Abbiamo così 6 posizioni per collocare telai. Lasciando la prima vuota, e ponendo sulla seconda posizione un nutritore e sulla terza un favo costruito vuoto, rimangono la quarta, la quinta e la sesta posizione vuota. Quindi all’interno abbiamo un nutritore che può contenere più 1 kg di glucosio e un favo costruito dove le api possono depositare il miele che hanno nella sacca melaria al momento del loro raccolto, oppure depositare il glucosio del nutritore naturalizzando così il loro comportamento, il che le rende tranquille. Inoltre sulla costa superiore del telaino, con la solita tecnica dello spillo, applichiamo circa 2 mm di feromone, il che le  tranquillizza ulteriormente.

La soffitta classica viene usata rovesciata, così da aumentare la cubatura e quindi la capacità di contenimento. Sopra la parte vuota si fa un buco in modo da posizionarvi il becco dell’imbuto.

Così si possono raccogliere le api, dalle famiglie sane che hanno api in eccedenza, mentre uno fa altri lavori e non si dedica esclusivamente alla raccolta delle api per fare pacchi. È bene nutrire a seguito del prelievo. Le api possono essere usate ad altri apiari, così che non ci sia ritorno alle famiglie madri. Quando non è necessario portarsele dietro, possono essere conservate per diversi giorni in condizioni ottimali, al buio e al fresco. Noi fino ad ora abbiamo riempito i pacchi ad occhio, ma volendo si può usare una bilancia elettronica da uso in agricoltura sul campo, e raccogliere così quantità precise. Sempre ad occhio, credo che un melarietto così possa contenere fino a 2 kg di api: circa 20.000 api che è un bell’innesto di “corpo sano” per una famiglia in crisi.

La soffitta è arieggiata da due fori di 15 cm chiusi con rete; un foro equivalente si può operare sul fondo, così da creare l’effetto camino in caso di riscaldamento eccessivo. Per il trasporto sono stati costruiti alcuni piccoli bancali che permettono di pallettizzarli e nello stesso tempo essere areati. Per l’uscita delle api sono stati praticati due fori per ogni lato del fondo della larghezza di 4 cm e chiusi con tappini di plastica da enologia o circuiti idraulici, che possano saltare con leggera pressione in modo da liberare il buco. I pacchi aperti in questo modo e messi con l’apertura corrispondente sopra buchi per la nutrizione delle soffitte delle arnie, si travasano da soli e lentamente nella famiglia sottostante in più o meno 10/20 ore. La lentezza del travaso fa sì che non abbiamo mai trovato una regina uccisa; anzi, si possono formar nuclei in questo modo ponendo una regina fra i favi dell’arnia sottostante. Non si deve aprire l’arnia, non c’è nessuna deriva, si appoggia il pacco aperto e si va via, ripassando a prenderlo quando uno ritorna a quell’apiario.

L’uso di questa tecnica semplicissima è stato un grande salto in avanti nell’ottimizzate il nostro lavoro alle api; e ve la racconto sperando che possa esservi utile quanto lo è stato per noi.

Uso delle vergini nei nuclei di fecondazione al posto delle celle.

Come dicevo, alcune volte introduciamo le vergini al posto delle celle nei nuclei. Anche per questa tecnica abbiamo preso lo spunto da Fert, e poi l’abbiamo riadattata al nostro uso aziendale. Fert una volta ci ha detto che ci riusciamo perché lavoriamo con la ligustica, e che sarebbe molto più difficile con le altre razze di api. Comunque l’abbiamo messa a punto prima di iniziare a lavorare con le api in maniera professionale, alla fine degli anni ’90, e per molti anni l’abbiamo usata come unica.

I vantaggi sono:

a)Le regine sono selezionate per i loro difetti fisici prima ancora di essere introdotte: troppo piccole, zoppe, storpie, ali deformi, ecc., oppure per colore non gradito; e in questo modo si recupera una piccola percentuale di perdite

b)Con la tecnica che descriveremo l’accettazione è totale, e quindi si recupera un’altra piccola percentuale di perdite per non accettazione di celle o morte prima della nascita.

c)Le vergini vengono marcate al momento del controllo, ed è tempo risparmiato al momento della raccolta.

c)Essendo già pronte per il volo al momento della liberazione, si anticipa la fecondazione di almeno 4/5 giorni, e quindi si accorcia il tempo di permanenza nei nuclei e quindi aumenta la produttività dei nuclei.

e)Rimanendo per meno tempo senza regina feconda, è molto più semplice gestire i nuclei e recuperare perdite.

Molto rapidamente. Si fanno nascere le api in incubatrice nel “bigodino”, che è stato leggermente modificato. Alla base si può mettere una goccia di miele, così che le regine abbiano un pochino da mangiare al momento delle nascita. Ma se ne può mettere pochissimo, perché altrimenti si sporcano tutte di miele e muoiono. Per evitare questo abbiamo leggermente modificato il bigodino alla base: l’abbiamo bucato con un trapano e inserito un tappino di plastica rovesciato, di modo tale che le api possano accedere alla miscela di miele e acqua solo con la ligula e così non si sporcano. Inoltre in questo modo si può mettere molta più nutrizione e si può passare a controllare fino a dopo due giorni dalla nascita.

Al momento del controllo si fa la prima selezione, poi le vergini si marcano e vengono rimesse in incubatrice con un nutritore a depressione fatto con una siringa da insulina applicato nella parte superiore del bigodino attraverso un’altra modifica. Potrebbero rimanere così in incubatrice anche per 20 giorni. Noi ci siamo dati come limite 6/7 giorni, perché dopo questo periodo potrebbero iniziare a defecare.

Il bigodino che usiamo per l’introduzione della vergine nel nucleo è stato modificato in due modi:
a)La parte di contatto con le api della famiglia è stato ridotta ad una sottile fessura di 1 cm circa, così che possano difendersi dall’aggressività iniziale, prima d’iniziare a familiarizzare.
b)Sulla parte superiore del bigodino viene inserito, attraverso una modifica del porta-cupolino, un tubino di rame lungo 3 cm e di circa 1,5 cm di diametro, riempito di candito o a metà o per intero, di modo tale che le api le liberino in circa 15 o 30 ore. Questo perché introducendo una sola vergine l’accettazione è del 50%, mentre introducendone due con il tempo di liberazione differenziato come descritto prima, l’accettazione è del 100%. Al momento dell’inserimento della vergine nel nucleo devono essere inserite nel bigodino due/tre apine accompagnatrici, che nutrono la vergine fino al momento della familiarizzazione e inoltre la favoriscono.

Il tempo che è necessario in più per gestite le vergini in tutte le loro fasi, è ampiamente ricompensato dai vantaggi del loro uso. Però questo è vero se si hanno collaboratori adatti. Io e Valeria non possiamo più farlo come norma; ma rimane comunque molto utile saper usare questa tecnica per non buttare via le celle che non si riescono a usare, oppure per ottimizzare i tempi dell’andare ai nuclei in armonia con le altre necessità aziendali.