i poeti e le loro poesie
Versucola
Attilio Tosini
IV.
Piove
Volano i fiori
come farfalle:
nei campi un odore
si spande, le nubi
sciamano immobili;
un gelo di rivo
il cuore ti vela
la luna scompare
dietro i cipressi:
è tutto silenzio
aldiquà tra le messi;
una tenue paura
il cuore ti prende
un lume s’apprende
tra le padule cinestri;
volare non sai
e come potresti
legato come sei
al fresco viburno
di maggio, al suo raggio
rosa di pesco notturno.
V.
Sono felice, mi dice,
e ride, mai odorosa
tamerice e chi te vide
al verano stare,
mirando il suo rosa
nell’ora più afosa,
te credette più nobile
fiore, ma creatura
sei più mortale
e il vento cosparge
ora i tuoi fiori
lungo i viali
come perduti amori.
VI.
Ora penso a quando torni:
ormai per me le ore son giorni;
come lontane sono le stagioni
di quando in cielo lanciavi aquiloni.
Ora un albero sei colmo di fiori
in mezzo ai campi nel vento
e un lume nel cuore acceso io tengo:
se potessi tornare, anche un momento.
VII.
Nell’orto i gerani sono rossi
nella fine piova di primavera;
cammino solitario lungo i viali:
il verde degli abeti altera
il nero grigio invernale,
nei prati i ciliegi son bianchi
il cielo è cupo e serale:
l’aria ha un dolce gelo;
stanchi d’una quiete
ad altro ineguale corrono
fanciulli cantando
stonate melodie i fiori
d’un giallo limone
spargendo come coriandoli
a carnevale.
Gli attimi attraversano il tuo core
come frecce minute d’un pruno
lasciando una gioia ora dolce,
felice per sempre nessuno.
VIII.
Nel segreto
il mare plasma
limpido il flutto
e rapido
corre sulla riva.
Prima che il fragile
segreto serbassi
nelle tue mani,
fanciullo,
il mistero
si ripeteva.
IX.
Pari a un dio
del bel tempo
antico saetti
in groppa al gelido
rombo, mio Fabullo,
e il tempo ti pare
un grave tormento.
X.
Chiara e limpida
stagione del freddo
sole, quando sulle
vie dei fossi
sciolgono
i fiori le corolle:
fugge la cenere dal rogo
arrossano pendule le sfere
del caco senza foglia,
digradano i monti
nell’ansia della sera
e di vivere in te
tace la voglia.
XI.
Volano pigri
uccelli di fumo
nel limpido
plenilunio.
Piove la fine
brezza del tramonto,
sul tuo bel volto
Ermione,
che il breve raggio
stilla.
XII.
Era il tempo
del gran freddo:
il sole scolorava
i campi e il giorno
fuggiva nell’autunno
nebbioso. E già il tuo
tempo finiva:
la giovinezza serena
l’età dei frutti
profumati ti fu
nemica e trista.
Dolendo
smarrivi
la vita
tanto amata
e
nel sogno
all’alba
perivi.
XIII.
Alle tue spalle
nella luce
che dispera
l’ombra della sera
che preme in fuga
nel baccano del nulla
dove la prescia
dell’attimo che sfiora
è la tua,
la nostra sorte.
XV. Alla gatta Lucrezia
Tu che vezzosa
l’ombra miri
nel baleno
dello specchio,
tu timida bimba,
che gli occhi
luminosi me
vedendo fuggi,
tu che il bianco
volto delicato
tanto curi,
tu che dalla
finestra curiosa
il mondo spii,
dimmi,
mentre finisce
il giorno,
è forse là
ove ammirata
guardi
che la vita
dirada gli inganni?
XVI.
Sulle pendici
delle nubi veloce
corre il fulmine,
ma tu, mio Fabullo,
certo, lo superi.
XVII.
Per le vie
disossate
da la piova
naviga
la flottiglia
colorata dei fori
scarminati nel fango.
Lasciata la negra
ripa, gli scogli
molli, corre
insieme ai resti
di cose
all’amor desuete,
giù
nelle vene della terra,
verso quel comune
cimitero
a nome fine.
XVIII.
Tu mio settembre
dorato più non
speri di vivere
ancora. Tra i rovi
senza spina e il mosto
odoroso soffia
l’ottobre ventoso.
E’ fumosa l’aria e torba:
soffoca il respiro,
s’alza la preda
e s’annebbia;
urla rabbiosamente
la muta e corre
e l’anima tace
il suo dolore divino.
XIX.
Più non lusinghi
i morbidi gatti,
ti conoscono
i pochi rimasti.
Quando torni
sudata e stanca
mi sorridi
come dire:
vale la pena
soffrire?
XXVII.
Piegono nella sera
le fronde dei pini
nell’aria viola
una voce risenti
ma tu dormi nell’onda
e il tuo cuore
parole più non ode.
XXVIII.
Più in alto, fanciullo
alla tua mano nascosti
arrossano tra le frasche
frutti alla tua bocca
deliziosi, nell’aria
ondeggianti d’azzurro
autunnale.
XXXI.
Nell’ora muta del meriggio estivo
nell’orto i gatti cercano l’ombra.
L’aria si muove in un tenue respiro
che la fanciulla della casa incanta
e nell’anima sente la sempiterna
fragranza dei sogni ancora non colti,
e, allo specchio, parla d’amore
confida la pena dolce del cuore;
e, si volge, poi, alla luce del sole,
e, tace una nuova rimembranza,
e radiosa si volge in un giro
alla vista dell’atteso che avanza
e guarda e sospira nella penombra:
come sei amato giovane divo!
XXXIII.
Ho confidato il mio amore
a un mazzo di fiori di campo.
Vi ho scritto su petali
le rime del cuore,
e tu, degnandole
d’uno sguardo lontano,
le hai messe nell’orto
in un vaso sbeccato.
La capra ne ha mangiate
quasi meta; e il resto
sta appassendo
come il mio sentimento.
XXXIV.
Un’esile figura
vigile di pino
sull’altura e intorno
prati odorosi
boschetti colmi
di rose e di rovi
e un giovine corre
nel vento;
la quiete delle ore
fa il tempo più lento
e di simili giorni
lontani memoria
ora sento; e torni
a pensare alla gloria
breve d’un cielo
a un volto coperto
di sabbia d’un velo
e nell’attimo ora
incerto nell’aria
un odore si spande
di viole: a me caro
è il lume della sera
il colore.
XXXV.
Pensare in lontananza
come a striate nubi
a frutti già rossi e non colti
a strade che danno in aperte
campagne, in estivi deserti
meriggi, grida ora voci
sommerse, in attese a spiare
tra siepi; pensare
che maggio è finito
d’un pezzo e le fanciulle
hanno già nuovi amori
e gli acanti sono piante
più mortali, in distese
chiare di nubi serali.
XXXVIII.
Come a sera restare
nell’ombra assorta dei pini
distesi ad ascoltare
nell’onda verde di aprile
il silenzio al di là del mare.
XLIV.
Più dimessa t’ho vista
stamattina, terminati
gli inganni estivi
in prati secchi e bianchi
nello zolfo della nebbia
la luce induceva.
Nella casa
degli antichi cacciatori
per lunghe ore
ho spiato geometrie
delle passate stagioni:
in fondo ho visto
volare il fogliame
ancora verde.
XLVI.
Mi dici: non voglio più vivere
è così poco dolce il nostro
destino; ma, non voglio morire!
Non ti sai proprio decidere
e sogni, e il tempo trascorre
XLIX.
Aspettare oziosi
sul colle la sera
tra faggi e mazzi
di rose se piove
esausti su prati
distesi, nel petto
una brezza e intorno
il silenzio.