i poeti e le loro poesie

Primavere oro e nubi

Attilio Tosini

I.
Come gli ontani
stampati nella luce
di maggio in cieli
chiari e senza nubi
noi pure trascorriamo.

II.
Incomparata gioia e brivido
di tigli in biondi
meriggi di pietra, oh l’alleluja
del fanciullo che lieto se ne va
su per la via alla fine di maggio:
finito il nero ozio delle scuole
i giorni non hanno più ore.
Ora che il temporale si sgonfia
e si spazia il cielo in lande di profumi
anche a noi poveri è offerto
uno scampolo di felicità.

III.
Coro degli astri sublimi
e frontiere virenti della primavera:
la mia vela è gonfia
il cielo è lustro.

IV.
Germina sullo scudo
della terra lo smeraldo
s’enfia fino a un precipizio
di luce il mandorlo.

V.
O l’oscurità delle case chiuse
che s’aprono ai venti ai verdi
maggi al pensiero della giovinezza.

VI.
La piova che dilampa
fa di questa sera un roseto:
un brolo calmo e conforto.

VII.
Come azzurre nubi
e di maggio svaporati
mazzi negli orti delle rose
ora io mi sento.

VIII.
Tornate voi primavere
con i carri di gioielli pieni
e i cieli balaustrati
in fondo al cuore;
tornate voi pure
con bufere odorose
e le sere piene di luce
nel recinto delle viole.
Anche se non ci saremo.

IX.
Non la furia insensata
dei venti o l’oceano
non l’incendio o altro tiranno
rapirti potrà la gioia
pur breve d’amore.

X.
Venite con il vento
primavere verdi tempestose.
A spaziare entro noi
comincia la presenza
del fogliame e i mattini
chiari come i gigli.
Venite con il silenzio
delle nubi nei campi
odorosi delle viole.

XI.
Disvago il cuore in ozi da poeta:
come ragiona bene la nube
in alto cielo: a sé serena
agli altri invisa: come io pure
mi figuro starei bene così lontano.
Ma, poi, quanto mi mancheresti
terra che rischiara il nostro respiro.

XII.
So cosa pretende il biondo mio cuore:
pezzi di luna e petali di rosa,
l’arco che la luce improvviso
chiude, dopo la piova,
e fa sereno il cielo.

XIII.
Non vi curate delle nubi alte
vaganti, uomini fratelli miei,
che neppure un giorno è per voi sereno
e mai scorgete la beltà del cielo.
Le nubi sono aria, solo vapore
fumo dei sogni in fuga dal cuore.

XIV.
Mi alzo nella luce del prugneto.
A sera appena piove
sono vento.

XV.
Mi apro al mare nebuloso della sera:
aprile fulgido dirama in corse
di sfioriti ciliegi e campi
che s’alzano dentro una carezza:
l’universo a questa altezza risuona
e tutto io mi sciolgo
de l’umana fattura.

XVI.
Via dal bruno oro del senza giorno;
su, discacciati, condotti a questo fuoco:
io non voglio entrarvi,
se mi è lecito dire:
è grande la paura della bufera
e troppo poco il rosa, lo zeffiro
che lenisce e porta in alto il cuore.

XVII.
Stormi che poggiate nella sera
dopo danze in circoli di fumo
sui matidi rami virenti
e poi di nuovo, fuori nella primavera;
aspettate, vengo assieme a voi:
dai campi d’oro salgo ai vostri cieli,
lascio l’usbergo dei giorni,
rompo lo specchio e volo via.

XVIII.
Precipito in azzurrità
smeraldo: sgorga dal mio petto
un fiume rubino.
Esco tra i cieli e le nubi
a respirare il vento dei pini.

XIX.
L’essere pianta appena virente
e intorno l’incommensurabile
cielo che s’ingemma e si fa
diamante. Germoglia nel petto
un’onda di ricordi: il lampo
ciclamino del sicomoro,
l’ombra verde in geometrie
circolari che a noi versa letizia.

XX.
Di quella contezza vago
sono che apriva primavera
la malva dagli occhi rosa, il cerulo
e fosco stampato del cielo,
il sacro vento
carezza sui campi in fiore.

XXI.
Dispogliate e nude
rose in meriggi
che giugno inizia
di pensieri confusi miscela
fa il cuore un gran vento;
dai nobili sfolgoranti tigli
alla materia luminescente
dei gigli, un turbine mi volge.

XXII.
Mio sentiero crestato
rincorro ogni tuo fiore:
il giglio alba incatenata,
la molle consueta novità
di vivere mi conduce
al circolo degli odorosi
campi traverso i monti.

XXIII.
Mi alzo, entro nel cerchio
del verde, del celeste; esco al bianco
al senza colore dei pensieri.
Passo su tutti i mari
rientro nel vento dei pini
che mossi piovono profumi.