apicoltori e poeti

Sergio Corazzini

La chiesa venne riconsacrata…
al poeta Carlo Govoni

Il sagrestano pazzo
traversò la chiesa oscura,
lentamente, con il mazzo
delle chiavi appeso alla cintura.

I frati, ne le piccole celle,
dicono le orazioni
de la sera, poi, quando le stelle
prime de l’Ave Maria
stanno su le cose terrene,
ogni monaco viene
al suo piccolo letto,
nitido come un altare,
e accende il luminetto
a la Vergine Maria,
che non fa che lagrimare
perché ha sette spade in core
che le dànno acerba doglia,
sempre acerba e sempre lenta!
Poi ognuno si spoglia,
e ognuno s’addormenta
nella pace del Signore.

L’acquasantiera di bronzo, tonda,
sembra un occhio lagrimoso
che il suo pianto silenzioso
a stille su le fronti de gli uomini diffonda.

I confessionali, con le loro
tendine verdi un po’ sciupate,
con le piccole grate
gialle che ne l’ombra sembrano d’oro,
sonnecchiano allineati,
ognuno con le sue due candele
spente a i lati.
Sono essi, alveari ove ronzino, api, i peccati,
e l’assoluzione sia miele?

Un rosario di granatine
a i piedi del Crocifisso morente
sembra sangue gocciato lentamente
dalla fronte coronata di spine.

Un piccolo libro delle
Massime Eterne fu dimenticato
sopra una sedia, aperto.
È logoro. Certo,
è d’una delle solite beghine
che vengono la sera.
Fra le pagine c’è un Santo:
san Giovanni decollato;
dietro il Santo, una preghiera.
Il libro dimenticato
aperto, è l’unica bocca che parli
nella chiesa silenziosa,
è l’unico occhio che veda,
nella chiesa oscura,
la morte della creatura.

Il sagrestano recise la grossa
corda per cui pendeva davanti la figura
di Cristo, la lampada rossa
con la sua fiamma quieta e pura.
La lampada cadde con sorda
percossa su le pietre sepolcrali;
l’uomo con tre moti uguali
girò intorno al collo la corda
e penzolò nel vuoto.
Davanti il Crocifisso
sembrò un macabro voto
improvvisamente sorto
fra il Cielo e l’Abisso.

Poi che la lampada non c’era più
biancheggiò d’avanti Gesù,
piamente la cotta del sagrestano morto.